Ogni cento italiani che hanno bisogno di cure ospedaliere, almeno sette decidono di spostarsi in un’altra regione per farsi assistere, oltre 11 nelle regioni del Sud. L’emigrazione ospedaliera verso altre regioni, ovvero la percentuale di persone che hanno avuto un ricovero ospedaliero in regime ordinario per acuti fuori dalla propria regione di residenza, secondo gli ultimi dati resi disponibili da Istat, è pari al 7,3 per cento sul totale dei ricoveri. Scelta talvolta volontaria, talvolta obbligata e dovuta alla carenza di strutture e figure professionali adeguate nel territorio di appartenenza. Questo indicato è diminuito del 12 per cento rispetto al 2019, per via della situazione pandemica che ha causato l’impossibilità di spostarsi fuori della propria zona di residenza. Nonostante la riduzione “complessiva dei ricoveri (-17 per cento in media Italia; -21 per cento al Mezzogiorno), “restano grandi le differenze territoriali”. Secondo l’ultimo report stilato dagli esperti di Crea Sanità, le Regioni con bassa spesa e bassi risultati sono tutte nel Sud: Puglia, Basilicata, Sicilia (9,8 miliardi di euro nel 2021, dato Agenas), Sardegna, con Calabria e Campania nelle posizioni di coda. Per Crea, è dovuto “ai cosiddetti ‘Piani di rientro’, avviati nel 2007 e riproposti nel 2017, che hanno interessato le regioni del Sud e dai quali sono scaturite una riduzione importante del dei servizi territoriali, del personale sanitario (medici e soprattutto infermieri), della dotazione di strutture, macchinari, di posti letto negli ospedali.

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Basso grado di fiducia verso i servizi locali
I costi sostenuti dalla Regione Siciliana per la “mobilità in compensazione extra-regionale” ammontano a quasi 287 milioni di euro nel 2020, secondo i dati Agenas, e sono diminuiti del sei per cento rispetto al 2019. I ricavi da mobilità sfiorano i 50 milioni di euro (diminuiti del 17 per cento rispetto all’anno precedente) e il saldo a carico del bilancio regionale resta quindi negativo per 228 milioni di euro. È sempre Crea a mettere in evidenza che “l’effetto più evidente dei crescenti divari qualitativi in sanità è rappresentato dalla ricerca di cure ospedaliere in regioni diverse da quella di residenza. Il fenomeno è riconducibile storicamente a più fattori: oltre alla prossimità geografica (la vicinanza a strutture regionali di chi abita lungo i confini; l’essere fuori sede per motivi di studio o lavoro), può incidere il grado di fiducia (o soddisfazione) verso i servizi locali, le liste di attesa, l’alta specializzazione, e così via”. Ciò ha comportato “un progressivo ampliamento del divario, sintomo di una crescente propensione a curarsi fuori dal proprio territorio, malgrado i (o forse, a causa dei) piani di risanamento. Le regioni più esposte al fenomeno sono Campania, Calabria e Sicilia (56 per cento del totale dei ricoveri extra-regione del Mezzogiorno). Lombardia, Emilia Romagna e Veneto – tradizionali regioni attrattive di utenza dal Sud Italia – presentano i valori più bassi dell’indicatore”.
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C’è una percezione di mancata efficienza
“Lo spostamento presso altre regioni non fa altro che gravare comunque sul bilancio regionale, perché queste prestazioni dobbiamo rimborsarle”, ricorda Giuseppe Bonsignore del Cimo, il sindacato dei medici. “Quello che era stato quasi un canto di vittoria dell’ex presidente Musumeci e dell’ex assessore alla Salute, Razza, per il calo del capitolo di spesa, mi era sembrato un tantino frettoloso. È chiaro che per via del periodo pandemico gli spostamenti erano fortemente limitati, soprattutto nel 2020 e nel 2021, con tre mesi di lockdown. Figuriamoci se la gente andava a curarsi a Milano o a Reggio Emilia”. Per Bonsignore, il fenomeno “esiste a livelli patologici e anche se non siamo la regione messa peggio, non possiamo cullarci. Dobbiamo chiederci perché i cittadini siciliani preferiscano migrare al Nord per curarsi. Spesso probabilmente ci sono dei pregiudizi che non rispondono a reali necessità e se vogliamo riportare il fenomeno a livelli fisiologici bisogna lavorare sulla qualità delle cure, sui tempi di attesa che vanno ridotti, su aspetti di confort alberghieri e assistenza di base negli ospedali, tutte concause che spingono il cittadino ad andarsene altrove, perché c’è una percezione di mancata efficienza”.
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Le specialistiche che non convincono
Il fenomeno sarebbe “in via di miglioramento – osserva Mario Conti, segretario Uil Fpl di Catania – ma ci sono 228 milioni di euro di saldo negativo del 2020 e non mi consola certo il fatto che l’emigrazione ci sia anche in altre regioni, compresa la Lombardia”. Per invertire la tendenza, secondo il sindacalista, “bisogna andare a fare un’analisi di quali sono le motivazioni che portano i nostri pazienti a migrare al Nord, a cominciare dalle specialistiche” che in Sicilia mancano o non convincono i pazienti. “A volte si migra per i tempi di attesa lunghi, a volte perché qui non c’è quella determinata specialistica. Ad esempio quella pediatrica, che spinge molti ad andare al Gaslini di Genova, nonostante qui le strutture le abbiamo, ma non sono all’avanguardia”. Poi ci sono i tempi di attesa: “Bisogna lavorare sulle liste d’attesa – prosegue Conti – e devo dire che l’assessorato sta cercando perlomeno di recuperare le lungaggini create per via del Covid”. Monti ipotizza che nelle scelte dei pazienti ci possa essere anche “un po’ di esterofilia”, ma al netto di questo accade che “anche per specialistiche in cui siamo abbastanza all’avanguardia, i nostri pazienti preferiscono andare al Nord, perché tutto si fa in maniera più celere, la burocrazia è più snella e ci si trova meglio”.