Siccità, la Sicilia ripensa ai dissalatori. Costi più bassi, ma da soli non bastano

Siccità, la Sicilia ripensa ai dissalatori. Costi più bassi, ma da soli non bastano

C’erano una volta idissalatori in Sicilia.Si trovavano aGela, Trapani e Porto Empedocle,ma erano obsoleti, impattanti e molto costosi, tanto che tra il 2010 e il 2014 furono chiusi. Ora lacabina di regia sulla siccitàdella Regionechiede di riaprirli,ma secondo gli esperti da soli non bastano. “Ripristinare i dissalatori potrebbe contribuire a limitare il problema della siccità, manon può essere l’unica soluzione.Occorre accompagnarla con altre azioni, a partire dalla limitazione delle perdite nelle reti idriche”, spiega aFocuSiciliaGiorgio Micale, ordinario di ingegneriachimicadell’Università di Palermo.“In questi anni c’è stato un grande progresso, che consentirebbe di avere dissalatori moderni, sostenibili emolto meno dispendiosi“, aggiunge Micale. Un grande impianto “costerebbe circa 50 milioni”, cifra importante che però verrebbe ammortizzata nel tempo, “aumentando laresilienza della Sicilianei confronti dellasiccità,tema con cui occorre fare i conti, anche a causa del cambiamento climatico”. Leggi anche –Siccità, “danni enormi” per l’agricoltura. Rincari, pagano le famiglie I dissalatori del resto sono attualmentein funzione nelle Isole minori.“Lampedusa ePantelleria,per esempio, utilizzano piccoli impianti per il lorofabbisogno idrico“, dice Micale. La tecnologia utilizzata è diversa rispetto ai vecchi impianti chiusi sull’Isola. “Un tempo l’acqua si dissalava perevaporazione,quindi attraverso l’utilizzo di calore generato da combustibili fossili, impattante e costosa. Oggi si utilizza la tecnica dell’osmosi inversa,in cui l’acqua di mare viene fatta passare attraverso unamembrana che trattiene il sale, facendola diventare acqua dolce”. Ilcosto finale per il clientedipende da molti fattori, ma per Micale “sarà nettamente inferiore rispetto ai vecchi impianti, anche se resta più alto rispetto all’acqua dei pozzi”. Undissalatore nuovo di zeccanell’Isola è in fase di realizzazione. Sorgerà a Presidiana, nel territorio di Cefalù, e costerà 40 milioni di euro, il 75% dei quali finanziati attraverso il Pnrr. “Nello specifico si tratta di unpotabilizzatore,che agisce sull’acqua salmastra,con una salinità di poco meno di due grammi di sale per litro in questo caso, contro i 35 grammi/litro dell’acqua di mare“. Leggi anche –Siccità, Sicilia verso i razionamenti. Ogni cittadino usa 181 litri al giorno Secondo i dati diSiciliacque,la società partecipata dalItalgas e Regione Sicilianache gestisce il servizio di captazione, accumulo, potabilizzazione e adduzione nell’Isola, al 2006 idissalatorifornivano il 21,5% dell’acqua potabile. Il 38,9% veniva dasorgenti e pozzi,il 35% dagliinvasie un ulteriore 5% datraversa,cioè dagli sbarramenti di fiumi. I vecchi dissalatori come detto funzionavano a evaporazione, una tecnologia che per gli esperti aveva molte controindicazioni. “Icosti di produzioneerano elevati, e alcuni impianti come quello diGelaavevano bisogno di unacentrale termoelettricaper alimentarsi”, osserva Micale. Proprio per questo, nella prima metà degli anni Duemiladieci, i dissalatori vengono chiusi, modificando l’equilibrio idraulico della Sicilia.Al 2018, secondo Siciliacque, il 42% dell’acqua potabile deriva dasorgenti e pozzi,e il 58% dagliinvasi.“Sono stati realizzati diversiinterventi sulla rete idrica,che hanno garantito l’acqua per un decennio. Oggi la situazione è diversa, e i dissalatori sono di nuovo all’ordine del giorno”. Leggi anche –Siccità, sotto l’Etna perdite al 75%. Il Gestore unico e l’ipotesi rincari A metterlo nero su bianco è la Regione, che tra gliinterventi contro la siccitàha inserito “l’ammodernamento degli impianti di dissalazione nei siti dismessi diPorto Empedocle, Paceco-Trapanied eventualmente ancheGela“. La scelta di tornare nelle stesse località, spiega Micale, è motivata. “I dissalatori devono essere serviti daimpianti di adduzionecapaci di portare grandi quantità d’acqua nellarete idrica.I vecchi siti sono attrezzati in tal senso, mentre spostando i dissalatori occorrerebbe ricostruire le condotte con costi ben più alti”. Quanto alla capacità diproduzione di acqua,“può essere modulata secondo le esigenze” ma secondo il docente “occorrerebbe ripristinare unapporto intorno al 20%“. Numeri simili a quelli precedenti al 2014, insomma. “Il vecchio dissalatore diPorto Empedocleforniva circa cinquemila metri cubi al giorno, quello di Trapani 36 mila, quello di Gela addirittura 50 mila”, calcola il docente. “Considerando che un metro cubo basta per circa sei persone, parliamo del fabbisogno dicentinaia di migliaia di famiglie“. Leggi anche –Diga Trinità, acqua finita in mare. Uno spreco anche nell’anno della siccità Un contributo nella sfida contro la siccità, insomma. Non la soluzione definitiva, ribadisce Micale. “Occorre contemperare ilcontributo della dissalazionecon gli interventi sulla rete idrica, la manutenzione degli invasi e il riuso delle acque reflue”. Come avviene già in altri Paesi, a partire dallaSpagna,che secondo le stime è laprima nazione in Europa per utilizzo di dissalatorie ospita uno dei maggioriplayerglobali sulla materia, la multinazionaleAcciona,che realizzerà il citatopotabilizzatore di Cefalù.L’approccio spagnolo, secondo il docente, è virtuoso e potrebbe essere replicato anche in Italia. “La città diBarcellona,che negli anni scorsi ha avuto gravi problemi di siccità, attinge per circa il 30% dai dissalatori, mentre il resto viene dafonti convenzionali“. Un cambio di prospettiva, insomma, è necessario. “Ilcambiamento climatico,con la riduzione delle piogge e dell’acqua accumulata negli invasi, ci impone di trovare nuove soluzioni. Gli interventi però devonocamminare insieme,migliorando la capacità diapprovvigionamento idricosu diversi fronti”, conclude Micale.