In Italia nel 2022 si sono pagate meno tasse. Il “total tax rate” – il totale delle tasse al netto di esenzioni e deduzioni – ha raggiunto il 52,7 per cento dei ricavi d’impresa, contro il 60,1 per cento del 2021 e il 61,9 per cento del 2018. Per pagare le imposte il contribuente italiano ha dovuto lavorare in media per 192 giorni, “liberandosi” dal fisco il dieci luglio. Sono i dati dello studio “Comune che vai fisco che trovi” realizzato dall’Osservatorio economico della Cna, Confederazione nazionale artigiani. La regione che lo scorso anno ha pagato di più è il Molise (55,3 per cento), mentre il meno tassato è il Trentino Alto Adige (47,3 per cento). A metà classifica Abruzzo, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Basilicata, Liguria e Piemonte, tutte con un “total tax rate” compreso tra il 52 e il 53 per cento. Quanto alla Sicilia, si trova nella parte medio bassa della graduatoria, toccando il 53,6 per cento di tassazione. In fondo alla classifica, osserva Cna, ci sono molte regioni del Mezzogiorno. “Dalla cartina dell’Italia emerge una maggiore concentrazione dei valori più alti del ‘total tax rate’ nell’Italia del centro sud e, per converso, la prevalenza dei valori più bassi nel nord d’Italia, sebbene esistano delle eccezioni”, si legge nello studio.
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Perché le tasse sono scese
Rispetto agli anni precedenti, nel 2022 il contribuente italiano ha dovuto faticare circa un mese in meno per creare il reddito necessario a pagare le tasse. Nel 2019, infatti, il “free tax day” arrivava il nove agosto, dopo oltre 220 giorni di lavoro. Merito di diversi aggiustamenti al fisco, entrati in vigore negli ultimi anni. “La spinta verso il basso del ‘total tax rate’ inizia a registrarsi tra il 2019 e il 2021 nella misura dello 0,4 per cento, passando dal 60,6 per cento al 60,2 per cento, fino ad arrivare alla rilevante riduzione di ben 7,5 punti percentuali nel 2022”, si legge nel report di Cna. La riduzione, prosegue l’associazione degli artigiani, “è legata ad una combinazione di fattori positivi”. Tra i più importanti, “la riduzione dei tributi locali, conseguente alla decisione dei Comuni di applicare aliquote più basse al reddito complessivo su cui calcolare l’Irpef”. A incidere anche la deducibilità parziale dell’Imu dal reddito d’impresa, “prevista per gli anni 2020 e 2021, nella misura del 60 per cento”. Tale deduzione è stata portata al 100 per cento lo scorso anno, scelta che secondo lo studio ha contribuito ad abbattere la pressione fiscale, insieme alla revisione degli scaglioni Irpef e all’eliminazione dell’Irap per gli imprenditori individuali e gli autonomi.

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Meno imposte per le Regioni
Come detto, il calo delle imposte registrato lo scorso anno a livello nazionale è stato di quasi 7,5 punti percentuali. Un’accelerazione rispetto al trend iniziato negli anni precedenti. A cambiare è anche la distribuzione delle imposte a livello statale, regionale e locale. Secondo le stime Cna, lo scorso anno l’erario e i contributi previdenziali hanno pesato per il 37,4 per cento, le imposte comunali per il 14,3 per cento e quelle regionali per l’un per cento. Le modifiche al sistema fiscale, infatti, hanno creato “un deciso distaccamento tra la tassazione comunale e quella regionale in favore della tassazione erariale, legata essenzialmente all’abolizione dell’Irap”. Una misura che ha determinato “la quasi totale perdita di incidenza della tassazione regionale sul ‘total tax rate’, che passa dal 6,1 per cento, registrato nel 2021, all’un per cento rilevato nell’anno 2022”. Complessivamente l’associazione degli artigiani plaude alla scelta di ridurre la pressione fiscale agendo sui tributi locali. Come si legge nel rapporto, infatti, questa decisione “sta portando il sistema tributario ad un nuovo riequilibrio tra la tassazione erariale e quella locali”.