Parti, in Sicilia ancora troppi cesarei. Si ricorre alla chirurgia per 1 donna su 3

Parti, in Sicilia ancora troppi cesarei. Si ricorre alla chirurgia per 1 donna su 3

Troppi parti cesareiinSicilia: nel 2022 il valore mediano èsuperiore al 40 per centodel totale. E troppo spesso nell’Isola, quando si decide per il parto vaginale, si ricorre all’episiotomia, un intervento chirurgico che consente un passaggio del feto più agevole. Una pratica sempre meno diffusa, ma effettuata perogni parto “naturale” su tre. Parametri non in linea con quelli che sono i riferimenti sulla “appropriatezza clinica”, che richiederebbe l’uso solo in “particolari situazioni di rischio”. A metterlo nero su bianco è ilnuovorapporto Pne(Programma nazionale esiti) elaborato daAgenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. L’edizione 2023 fa riferimento all’attività assistenziale effettuata nell’anno 2022 da circa1.400 ospedali pubblici e privati,e a quella relativa al periodo 2015-2022 per la ricostruzione dei trend temporali. La Sicilia si inserisce quindi comeregione “record” per il ricorso al parto cesareo. Esso infatti viene praticato oltre quattro volte su dieci. Secondo i parametri ministeriali stabiliti con il Decreto ministeriale 70 del 2015, la quota dovrebbe essereentro il 25 per cento del totalenelle strutture conpiù di mille parti l’anno, e del 15 per quelle, la maggioranza, che hanno un volume inferiore. L’isola non è la sola regione a superare il 40 per cento. Succede anche inCampania, in Lombardia in Puglia e nel Lazio, mentre la maggior parte delle strutture della provincia autonoma diTrento, dell’Emilia-Romagna, delPiemonte e del Friuli Venezia Giuliahanno mostrato proporzioni inferiori al 20 per cento. Dovela Sicilia spicca in negativoè però nel ricorso a una pratica come l’episiotomia,ovvero l’intervento chirurgico che facilita il passaggio del feto. Il ricorso a questo intervento, chiamato ancheperineotomiaperché è di fatto untaglio del perineo, èdiminuitonel corso degli anniin Italia, passandodal 24 per cento nel 2015 all’11 per cento nel 2022.In Sicilialo scorso anno è stata però utilizzatanel 27 per cento dei parti. Ciò nonostante Ageas lo definisca “unapratica a elevato rischiodi inappropriatezza clinica, in quanto eseguita spesso di routine pur in assenza di indicazioni specifiche”. Per un confronto, la media nelle strutture ospedaliere dellaValle D’Aostasi ferma allo0,7 per cento. Non va molto meglio per quanto riguarda iVBAC, acronimo diVaginal Birth After Caesarean, ovvero unparto vaginale effettuato dopo una prima gravidanza conclusa con cesareo. Secondo Agenas il parametro è indicativo della “qualità delll’assistenza perinatale”. E anche in questo caso il Sud, e quindi la Sicilia, sono indietro. Se nelle province autonome di Bolzano e Trento e in Friuli Venezia Giulia la quota di ricorso allaVBAC è del 30 per cento, nel Mezzogiorno non si arriva al 10. Il rapporto fornisce anche dei dati generali italiani su nascite e strutture. A livello nazionale il numero di parti si è progressivamente ridotto nel corso del tempo.Nel 2019 sono stati circa 68 mila in meno rispetto al 2015. Durante la pandemia, a partire dal 2021, si è registrata un’attenuazione del trend, con un incremento del 2,7 per cento rispetto all’atteso nel 2021 e del sei per cento nel 2022, pari a 32.500 ricoveri in più per parto nel biennio 2021-2022 rispetto al valore atteso.I punti nascita in Italia erano 442 nel 2021 e 434 nel 2022. Di questisolo 140– per un volume che copre il 63 per cento delle nascite in Italia –hanno effettuato oltre mille parti per anno, un parametro “standard” indicato dal Decreto ministeriale 70 del 2015. Circa un terzo delle strutture non arriva invece ai 500 annui, avviandosi verso la chiusura, come stabilito dall’Accordo Stato-Regioni del 2010.