Stop cessione crediti, Ance: Duro colpo per imprese e famiglie. Sarà recessione

L’Ance, l’associazione nazionale costruttori edili, lancia ancora una volta un allarme di rischio chiusura per centinaia di cantieri che coinvolgerebbero migliaia di imprese e centinaia di migliaia di lavoratori. Tutto a seguito della decisione del governo di bloccare lo sconto in fattura e la cessione del credito d’imposta per il Superbonus 110 per cento. Durante l’audizione del 28 febbraio dell’Ance, in videoconferenza, presso la commissione Finanze della Camera sul DL 11/2023, il vice presidente Edilizia e Territorio dell’associazione dei costruttori, Stefano Betti, ha parlato di “esprime forte preoccupazione per la “situazione esplosiva venutasi a creare dopo l’approvazione del decreto-legge sulla cessione dei crediti perché il decreto non risolve in nessun modo il problema dei crediti incagliati legati ai bonus edilizi”. Di seguito il esto completo dell’audizione con anche le proposte dell’ance al governo. “Si tratta di circa 19 miliardi di euro (da stima del Governo), già maturati, che se non pagati mettono a rischio 115.000 cantieri di ristrutturazione delle case delle famiglie italiane in corso in tutta Italia, oltre 32.000 imprese e 170.000 lavoratori, che raddoppiano se si considera l’indotto. Dopo un 2022 in cui la crescita dell’economia italiana, grazie al traino del settore delle costruzioni, è stata superiore a quella della Cina (+3,9 per cento contro +3 per cento), il decreto infligge un duro colpo all’economia nazionale. Secondo le stime dell’Ance, infatti, l’effetto complessivo del decreto porterà il Paese in recessione, andando oltre l’annullamento della lieve crescita prevista nelle ultime stime della Commissione Ue (+0,8 per cento)”. Leggi anche –Blocco cessione crediti Superbonus, Schifani: “Ci adegueremo a Roma” Il blocco del mercato della cessione dei crediti fiscali sta infatti creando una vera e propria crisi sistemica nell’economia italiana: l’impossibilità di cedere sul mercato i bonus determina una carenza di liquidità nelle imprese di costruzioni che le porterà, a brevissimo, al fallimento. Le stesse imprese che sono chiamate a realizzare i lavori del Pnrr. Gli effetti si estenderanno a tutti i settori collegati, ai fornitori, ai professionisti coinvolti, alle banche.Ma colpirà anche le famiglie, i beneficiari degli interventi, con il rischio di decine di migliaia di contenziosi. Rischio che già si sta concretizzando in tutto il Paese. Appare quindi indispensabile introdurre soluzioni certe e di immediata attuazione per lo sblocco totale dei crediti pregressi. Leggi anche –Superbonus negato, nuovo dramma per imprese e consumatori Per riuscirci, l’unica soluzione efficace è utilizzare gli F24 a compensazione dei crediti maturati, come Ance e Abi hanno proposto da tempo, una misura resa ora possibile anche dalle recenti indicazioni di Eurostat. Occorre inoltre dare immediatamente un segnale forte di fiducia, attivando il circuito degli acquisti da parte delle istituzioni e aziende statali.Qualsiasi altra soluzione parziale, come l’intervento sulla responsabilità solidale contenuto nel decreto-legge, non risolve il problema in quanto non interviene sul problema principale, quello di individuare i soggetti che possono monetizzare crediti pregressi. In particolare, non si può pensare di sbloccare una situazione così incancrenita, dopo mesi di cambi di normativa – solo sul Superbonus, 22 in poco più di 1.000 giorni vale a dire una modificaogni 45 giorni – e di stop and go, con un mero invito alle banche a comprare. Serve una decisione veloce da parte di Governo e Parlamento per approvare misure risolutive. Serve la stessa determinazione e rapidità di azione che ha animato l’Esecutivo nel varare un decreto che, per tempi di approvazione e entrata in vigore, ha battuto anche il leggendario decreto sul prelievo sui conti correnti del ’92. Per favorire infine il completamento dei lavori già avviati ed evitare di creare ingenti danni a famiglie ed imprese, una volta attivate le misure sopracitate, occorre migliorare la disciplina transitoria prevista dal decreto approvato dal Governo. Leggi anche –Superbonus 110%, un incubo per le aziende. Resta il problema crediti Approvare la proposta di utilizzo degli F24 a compensazione dei crediti maturati. La proposta prevede di riconoscere, in via straordinaria e temporanea, la possibilità per lebanche e Poste SpA di compensare le somme relative agli F24 della clientela con i creditidi imposta originatisi a seguito del sostenimento, nelle annualità 2021 e 2022, delle speseper gli interventi agevolati con i bonus edilizi, che imprese e contribuenti non sono riuscitiancora a cedere. A tutela dei contratti in corso, lo stesso meccanismo di compensazionedovrebbe essere previsto anche per i crediti d’imposta relativi ad interventi già avviati alla data del 17 febbraio 2023, secondo i criteri individuati dal DL 11/2023.Attivare subito il circuito degli acquisti da parte delle istituzioni e aziende statali. In una situazione di mercato così complessa e ingessata, almeno fino all’inserimento della misuradegli F24 nella legge di conversione del decreto 11/2023, appare assolutamente indispensabile il coinvolgimento immediato delle istituzioni e aziende statali (CDP, RFI, ENEL, ENI, SNAM, Fincantieri, ecc.) sul mercato dei crediti fiscali come soggetti acquirenti.Queste aziende possono rivestire un ruolo importante nel processo di alleggerimento dei plafond fiscali degli istituti bancari. L’attività di acquisto di questi crediti ha un rischio estremamente contenuto perché tutti i bonus fiscali hanno superato gli accurati controlli previsti dalla due diligence delle piattaforme specializzate incaricate dalle banche. Le condizioni previste dal decreto-legge per salvaguardare le iniziative in essere e consentire, per queste iniziative, di continuare ad utilizzare cessione e sconto in fattura appaiono riduttive rispetto alle specificità e alle complessità delle situazioni che esistono nei cantieri italiani. È quindi necessario migliorare il contenuto della disciplina transitoria per tener conto di tutte le fattispecie: Il rischio concreto è quello di tornare a numeri insignificanti in termini di realizzazione di interventi su interi edifici – 2.900 all’anno, mediamente, nel triennio 2018-2020 – mentre la nuova proposta di direttiva europea sulla prestazione Energetica in Edilizia (EPBD) richiede un ritmo di intervento pari ad almeno 180.000 edifici all’anno. Un numero in linea con quanto realizzato, in media, negli anni 2021 e 2022 con la possibilità di cedere i crediti maturati. Se dovessimo tornare ai ritmi del triennio 2018-2020, la decarbonizzazione del patrimonio edilizio, fissata per il 2050, sarebbe completata in un orizzonte di 3.800 anni. Alla luce della Direttiva, anche solo il primo step, fissato sul 15 per cento degli edifici, non sarebbe raggiungibile prima di 630 anni. È quindi fondamentale, per il futuro della politica di riqualificazione degli edifici, poter prevedere, in modo selettivo e in funzione degli spazi di finanza pubblica disponibili, la possibilità di fare cessioni per alcune tipologie di soggetti (in particolare gli incapienti) e/o di interventi.