La minaccia del vermocane “dopato” dal clima: danni a pesca e rischi per l’uomo

Bello da vedere, pericolosissimo da toccare: parliamo delvermocane, detto anche“verme di fuoco”a causa delle suesetole irritantiche possono comportarerischi per l’uomo. La specie sta proliferando nel Mar Mediterraneo – e anche in Sicilia – preoccupando gli addetti ai lavori. Infatti può provocare “gravi alterazioni degli ecosistemi e danni economici”, ma come detto può causare danni alle persone, “provocandoirritazioni anche di seria entitàa livello cutaneo”. A dirlo è uno studio coordinato dal professorFrancesco Tiralongodell’Università degli studi di Catania, che ha coinvolto l’Ente fauna marina mediterranea, l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, l’Ispra e l’Università degli Studi del Salento. Obiettivo dello studio, pubblicato sulla rivista scientifica Marine Environmental Research, “studiare equantificare i danni economiciprovocati dal Vermocane”, facendo luce su una situazione che “richiede una particolare attenzione, specialmente alla luce degli attuali e futuri scenari diriscaldamento globale”. A differenza delgranchio blue delgambero killer della Louisiana,Hermodice carunculata, questo il nome scientifico del vermocane, non è unaspecie aliena invasivaarrivata da fuori, ma vive da sempre nelMediterraneo. Si tratta di un verme marino, generalmente di colore rosso, con una lunghezza media di15-25 centimetri,ma che può arrivare fino a50 cm e più.Normalmente lo si incontra nelle praterie diPosidonia oceanica,una pianta che vive sui fondali marini mediterranei e su substrati misti e rocciosi. Qui fa da“spazzino”,nutrendosi di pesci morti e altri organismi in decomposizione. Negli ultimi anni, tuttavia, “ha assunto uncomportamento invasivoin alcune aree del Mediterraneo”. A innescare questa trasformazione, spiegano gli scienziati, sarebbe proprio ilriscaldamento globale. Esso infatti “può agire come forza trainante per l’espansione delle specie termofile”, e a dimostrarlo è il fatto che i danni “si intensificano durante iperiodi più caldi, anche se la presenza delvermocaneè stata riscontrata durantetutto l’anno”. Laproliferazione, come detto, può causare seri danni all’ecosistema marino, e di riflesso sull’economia a esso collegata. Questa creatura infatti “ha dimostrato unimpatto significativo sulla pesca artigianaleche mira alla cattura di sparidi pregiati nel Mar Mediterraneo, in particolare ilsarago maggiore”. I danni sono “sia diretti che indiretti”, ma colpiscono in particolare “le attività di pesca lungo lacosta sud-orientale della Siciliae altre località delSud Italia”. La pericolosità per l’ecosistema e l’economia è nota da tempo, osserva Tiralongo, ma per la prima volta è messanero su bianco in uno studiodi questo tipo. “Sappiamo dei danni economici da diversi anni, soprattutto nelle aree del sud Italia in cui il vermocane è particolarmente diffuso. Tuttavia, l’obiettivo di questo studio è anchesensibilizzare la comunità scientificae il pubblico riguardo a questa specie altamente invasiva epotenzialmente pericolosa”. I danni, ribadisce l’esperto, “non riguardano solo l’economia della pesca, ma minacciano anche lasalute umana”. Negli ultimi tempi, infatti, il vermocane è stato avvistato sempre più spesso anche suifondi sabbiosi, più facilmentefrequentati dai bagnanti. Se calpestato,Hermodice carunculatarilascia degli aculei che provocanogravi disagi. “Penetrano nella pelle e rilasciano composti tossici causando bruciore, prurito, eritema e intorpidimento locali”, si legge nello studio. Le conseguenze possono essere anche più gravi, con “vertigini, nausea e febbre”, anche se gli esperti precisano che ciò avviene “in rarissimi casi”. In caso di punture non bisogna strofinare, “per evitare l’ulterioreframmentazione degli aculei”. Al contrario è suggerito “rimuoverli con una pinzettao appoggiando delicatamente sulle estremità sporgenti del nastro adesivo”, e in mancanza di esso “tirarli delicatamente con il pollice e l’indice asciutti, senza toccare la pelle”. Si consiglia anche di“lavare la zona con acqua fredda o applicare ghiaccio”, in modo da “limitare il processo infiammatorio e lenire il dolore”. Il verme di fuoco, insomma, è una vera e propriaminaccia. Lo studio coordinato da Tiralongo, tuttavia, non si limita a prenderne atto. “Abbiamo anche avanzato alcunepossibili soluzioniper affrontare questa sfida”, precisa infatti l’esperto. Per contrastarne la diffusione esiste è stato avviato ilprogetto “Worms Out”dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, in collaborazione con l’Università degli Studi diCatania, diMessina, diModenaeReggio Emilia, l’Ispra e l’Area marina protetta di Capo Milazzo. “Questo progetto mira a continuare aesplorare la distribuzionelungo le coste siciliane. In particolare quelle tirreniche e ioniche”, spiega l’esperto. Il contenimento, conclude Tiralongo, sarà possibile solo con la collaborazione di chi conosce la specie meglio di tutti. “Il progetto si avvale infatti ditrappole particolari. E soprattutto della preziosa esperienza deipescatori locali”.