Etna, perché la cenere è un rifiuto speciale. Foti: “Deve cambiare la legge”

Etna, perché la cenere è un rifiuto speciale. Foti: “Deve cambiare la legge”

Ancora un parossismo. Ancora tonnellate di materiale vulcanico che ricadono sull’hinterland etneo, causando gravi disagi alla popolazione. A rendere più grave la situazione, la classificazione della “cenere” come rifiuto speciale. Come tutto ciò che cade sul suolo pubblico, si tratta di materiale inerte che va conferito e trattato con costi altissimi. I sindaci dei paesi dell’hinterland chiedono risorse e risposte. Secondo le stime dell’Ingv, la caduta di cenere è passata “dai 400/800 grammi per metro quadro” delle prime eruzioni ai “sette chilogrammi per mq” dei fenomeni più recenti. Per rimuovere una simile quantità di cenere, non basterà certo il milione di euro stanziato dal governo regionale contestualmente alla dichiarazione dello stato di emergenza. Leggi anche –Emergenza Etna, l’appello dei sindaci: “Da soli non ce la facciamo” Secondo un parere dell’Asp di Catania, rilasciato nel 2013, la cenere vulcanica può essere irritante “per le mucose degli occhi e per l’apparato respiratorio”. Per questo è necessario dotare gli addetti alla raccolta “di dispositivi di protezione individuale”. Le famose mascherine, che oggi tutti portano a causa dell’emergenza Covid-19. Il motivo principale per cui la cenere è classificata come rifiuto speciale, però, è un altro. “Il materiale vulcanico diventa rifiuto inerte nel momento stesso in cui cade sul suolo pubblico, e deve essere raccolto attraverso un processo di spazzamento”, spiega l’ingegnere Anita Astuto, membro del direttivo regionale di Legambiente, curatrice di un rapporto sugli impianti dei rifiuti in Sicilia. Leggi anche –Etna, Musumeci dichiara lo stato di emergenza per la cenere vulcanica Lo stesso Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia suggerisce, in un parere di qualche anno fa, “il recupero delle ceneri raccolte attraverso centri autorizzati al recupero degli inerti”. Per legge, i rifiuti inerti rientrano nella categoria dei rifiuti speciali e devono essere conferiti in discariche specifiche. Ad aumentare sono i tempi e i costi. Per questa ragione, nel 2013, era stata avanzata la proposta di declassificare la cenere vulcanica da rifiuto speciale. Attraverso la procedura “end to waste” contenuta all’interno del Testo unico dell’ambiente del 2006. Quest’ultima prevede che il rifiuto cessi di essere tale se rispetta alcune condizioni. “Si tratta di un processo che deve essere avviato dal ministero dell’Ambiente, cioè dal nuovo ministero della Transizione ecologica”, spiega Astuto. Leggi anche –Etna, pioggia di lapilli. Enormi danni per colture e paesi del versante est “Deve cambiare la legge”, conferma Calogero Foti, dirigente del Dipartimento rifiuti della Regione siciliana, già capo della Protezione civile nell’isola. “Noi abbiamo avuto un’interlocuzione con il ministero, ma occorre tempo per far capire che la legge così com’è è sbagliata”. Il problema, ricorda il dirigente, “riguarda per due terzi la Sicilia e un terzo la Campania”. Perché l’approccio possa cambiare, “serve una nuova interpretazione o una variazione della norma”. La competenza è in capo al ministero e al Parlamento nazionale, malgrado la Sicilia sia una regione a statuto speciale. “Stiamo verificando tutte le possibilità. Speriamo che ci sia un’accelerazione, perché la situazione è davvero difficile”. Leggi anche –L’Etna, i rifiuti, le moto, il turismo. Parla il presidente del Parco Carlo Caputo I requisiti tecnici per il processo “end to waste”, sono essenzialmente tre. Il rifiuto, per essere declassificato, deve poter essere utilizzato “per scopi specifici”, deve essere oggetto “di mercato o domanda”, e soprattutto non deve avere “impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana”. Requisiti che la cenere vulcanica, apparentemente, sembra rispettare. Il materiale viene utilizzato comunemente nell’edilizia, nel florovivaismo come concime e drenante, persino nell’erboristeria per la preparazione di creme e unguenti. “La decisione, però, spetta al ministero”, ribadisce Astuto. “La cenere è sicuramente un tipo di rifiuto che può ambire alla procedura, ma non è scontato che l’iter vada a buon fine”. Leggi anche –Esplosioni e rapaci, scenari primordiali. L’Etna a volte sembra le Hawaii Per la dirigente di Legambiente la strada da seguire è anzitutto quella della pianificazione. “Viviamo in un territorio ad alto rischio sismico. Come ci siamo abituati ad affrontare questo problema, dobbiamo predisporci a gestire anche la cenere”. La procedura di declassificazione “ha delle tempistiche incompatibili con l’emergenza”, dunque la scelta più giusta “sarebbe di preparare una strategia in tempi di pace”. In modo da trovarsi pronti quando arriverà l’emergenza. Secondo Astuto la Sicilia ha ancora molto da fare “nella direzione dell’economia circolare”, e quello della cenere è solo un esempio “di come si potrebbe riutilizzare un prodotto naturale”.