Gli aiuti Covid? Vanno dichiarati (anche) su Facebook. Rischio di multe salate

Gli aiuti di Stato ricevuti dalle imprese private durante il 2020 – dunque anche quelli relativi alla pandemia da Covid-19 – devono essere pubblicati su internet entro il 21 dicembre 2021. Sul sito ufficiale dell’azienda, sul portale digitale delle associazioni di categoria di appartenenza o, in alternativa, anche su Facebook. Sembra unafake news,come tante che girano su internet, invece è la fantasiosa burocrazia italiana. “Si tratta di una legge risalente al 2017, che obbliga a rendere pubbliche le sovvenzioni statali”, spiega a FocuSicilia Giorgio Sangiorgio, presidente dell’Ordine dei Commercialisti di Catania. Tra le modalità di pubblicazione, conferma Sangiorgio, potrebbe esserci anche quella “social”. “È una cosa che fa sorridere e suona un po’ assurda, ma in effetti è così”. Meno divertente la multa prevista per chi si sottragga all’obbligo. La sanzione, infatti, “ha un importo minimo di duemila euro, ma verrà erogata a partire dal 2022 sui contributi del 2021”. In altre parole, chi non pubblica i contribuiti su internet potrebbe essere costretto a pagare un conto salato. Leggi anche –Truffe in rete, allarme di Fabi Palermo: “Attenzione alle false mail delle banche” A introdurre l’obbligo di pubblicazione èla legge 124/2017del governo Gentiloni, dedicata al mercato e alla concorrenza. All’articolo uno, comma 125, si legge che le imprese devono pubblicare “nei propri siti o portali digitali, le informazioni relative a sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e comunque a vantaggi economici di qualunque genere ricevuti dalle pubbliche amministrazioni”. L’obbligo vale anche per fondazioni, associazioni e onlus, mentre per le aziende che presentano i bilanci – Srl, Srls e cooperative – si provvede “nella nota integrativa del bilancio di esercizio e nella nota integrativa dell’eventuale bilancio consolidato”. Inoltre, al comma 127, si prevede che “al fine di evitare l’accumulo di informazioni non rilevanti” l’obbligo di pubblicazione non sussiste “ove l’importo delle sovvenzioni sia inferiore a 10 mila euro nel periodo considerato”. Questa la norma del 2017, che però non fa in alcun modo riferimento a Facebook. Leggi anche –“Premi da Amazon o Decathlon”: ecco come scattano le truffe online A chiamare in causa il popolare social network è unacircolare del ministero del Lavoro e delle Politiche socialidi gennaio 2019, sotto il primo governo Conte. Il documento chiarisce alcuni passaggi della legge del 2017 in riferimento agli enti del terzo settore. In particolare, la circolare chiarisce che “in mancanza del sito internet, il riferimento ai portali digitali rende possibile l’adempimento degli obblighi di pubblicità e di trasparenza anche attraverso la pubblicazione dei dati in questione sulla pagina Facebook dell’ente medesimo”. Una modalità che, secondo alcune interpretazioni, potrebbe essere estesa anche alle imprese private. “Si tratta di una norma un po’ curiosa, il cui termine è stato spesso posticipato e su cui di fatto non sono effettuati controlli severissimi”, commenta Sangiorgio. Per le sovvenzioni ricevute nel 2020, come detto, il termine è stato fissato al 31 dicembre 2021, e la pubblicazione comprende anche gli aiuti Covid. Leggi anche –Bollettini ingannevoli, come le Pmi possono difendersi dalle truffe Un groviglio burocratico tipicamente italiano, insomma. “Quale che sia l’interpretazione, sotto i 10 mila euro non è necessaria alcuna pubblicazione”, conferma il presidente dei Commercialisti catanesi. A sottolineare l’originalità della norma, anche il fatto che una fascia consistente di lavoratori non utilizza ancora le tecnologie digitali. Secondo gli ultimi dati Istat, la quota di imprese che fornisce sui propri siti web informazioni sui prodotti offerti (e che dunque potrebbe usare quella piattaforma per la pubblicazione) è del 55,5 per cento nel 2020. Un dato in netta crescita rispetto al 34 per cento del 2019, ma ancora distante da una copertura totale della popolazione di lavoratori. “Non è difficile immaginare una partita iva, magari di una certa età, trafficare con il telefonino per pubblicare queste informazioni sui social”, conclude Sangiorgio. Con il rischio di mettere in circolazione dati sensibili, in un momento storico in cui la rete pullula di truffe.