In caso di calamità naturali, si attua il Piano comunale di Protezione civile. Però, su 391 Comuni siciliani, 138 non ne hanno uno, 151 ne hanno uno vecchio di cinque anni e 28 non lo aggiornano da ben dieci anni. Oltre otto Comuni su dieci risultano impreparati sulla carta ad affrontare con tutti gli accorgimenti necessari (e attualizzati) frane, terremoti, incendi e altri eventi calamitosi. I dati, che fino a qualche settimana fa risultavano ancora frammentari, sono stati appena aggiornati dal Dipartimento regionale della Protezione civile. I Comuni perfettamente in regola con gli obblighi, quelli cioè che hanno un Piano di protezione civile aggiornato da poco o comunque non più vecchio di quattro anni, sono solo 74 (il 19 per cento) e, in base alle dimensioni demografiche dei Comuni, la popolazione siciliana che risulta effettivamente coperta da un Piano è di poco più di un milione di abitanti su quasi cinque milioni, il 21 per cento. Circa un altro milione resta invece totalmente privo di una pianificazione aggiornata e completa, il 22 per cento dei siciliani e il 17 per cento della superficie dell’Isola. In una zona grigia, un 39 per cento, sono i Comuni dotati di un piano aggiornato tra il 2012 e il 2017: una pianificazione superata che con buona probabilità richiede una revisione.

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A cosa serve il Piano comunale di Protezione civile
Il Piano comunale, di competenza del sindaco, è obbligatorio secondo il Codice di Protezione Civile (Dlgs 1/2018), mentre la legge 225/1992 (modificata dalla legge 100/2012), individua nel Consiglio comunale l’organo competente per l’approvazione. Salvaguardare le persone e i beni presenti in un’area a rischio, in caso di calamità, è il principale obiettivo di un Piano di protezione civile, che è in sostanza un manuale operativo con cartografie, ricognizioni di risorse umane e materiali e linee operative, strutturato secondo le attività-cardine di Protezione civile (previsione, prevenzione, soccorso e superamento dell’emergenza). I comportamenti previsti, da adottare prima, durante e dopo l’evento critico, oltre a ridurre il più possibile eventuali danni, devono puntare a facilitare le operazioni di segnalazione, soccorso ed eventuale evacuazione. Un Piano comunale di Protezione civile, periodicamente aggiornato, viene redatto a partire da alcuni fattori: indagini conoscitive del territorio, analisi e definizione dei rischi che insistono sul territorio, valutazione delle risorse disponibili e organizzazione della gestione operativa dell’emergenza.

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Cosa non deve mancare in un Piano comunale
Concepito come un vademecum in costante aggiornamento, il Piano comunale di protezione civile deve contenere informazioni reperibili e consultabili con facilità e velocità. Tra queste: dati sulla popolazione e sulle attività produttive, elementi esposti a rischio, la rete delle infrastrutture di trasporto e di servizio gli scenari di rischio (ad esempio sismico, idrogeologico, industriale, pandemia), i sistemi di allertamento, le risorse comunali di Protezione civile (uomini, materiali, mezzi di proprietà comunale e privata, aree di stoccaggio e distribuzione, volontariato e professionalità, strutture sanitarie, aree di Protezione civile, pianificazione e coordinamento operativo locale, centro operativo comunale, comunicazioni, ripristino di viabilità e trasporti, misure di salvaguardia della popolazione e informazione, modelli di intervento, individuazione delle aree (attesa, accoglienza, ammassamento mezzi e soccorritori, ammassamento bestiame e seppellimento).
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Anche in questo settore, Sicilia fanalino di coda in Italia
Sono 253 i Comuni siciliani che ad oggi, secondo la Protezione civile regionale, dispongono di un qualsiasi Piano, anche vecchio: il 65 per cento del totale. Il dato recentissimo fornito dagli uffici regionali dovrebbe segnare un positivo aggiornamento rispetto alla percentuale presente sul sito del Dipartimento nazionale di Protezione civile (presidenza del Consiglio dei ministri), che ha censito al 4 aprile 2022 i Comuni siciliani dotati di Piano: il 49 per cento (190 Comuni su 390), dato che posiziona la nostra regione come ultima d’Italia, tanto per cambiare. Una collocazione che non potrebbe migliorare neanche a voler considerare il nuovo dato del 65 per cento appena diffuso dalla Regione. A livello nazionale, infatti, solo la Lombardia sta “messa male” con il 78 per cento di Comuni dotati di un Piano. Per il resto, la situazione nazionale vede l’88 per cento degli 8.051 Comuni in regola con il Piano. Spiccano in classifica Friuli Venezia Giulia, Marche, Molise, Val d’Aosta e Provincia autonoma di Trento, regioni che hanno il 100 per cento di Comuni dotati di un Piano, ma anche Puglia, Umbria e Abruzzo ci sono quasi: raggiungono un ammirevole 99 per cento.
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