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Cancel culture: tra rispetto sociale e business. All’indice anche Harry Potter

Sempre più spazio agli estremismi che vanno a nozze con i leoni da tastiera. La cancel culture è sempre più presente, anche in letteratura. Ok il rispetto dell'altro, ma sorge un grande dubbio: si tratta di buoni sentimenti o del sempre del buon vecchio business?

Ormai la principessa non ha più bisogno del principe e si risveglia con il bacio di un’altra eroina, giunta a salvarla dalle grinfie del patriarcato. Cappuccetto Rosso non ha timore dei canini aguzzi del lupo, Cenerentola dona dignità al lavoro della casalinga e Raperonzolo non lancia le sue trecce dalla finestra perché sta bene da sola. Le fiabe forgiano la mente delle nuove generazioni e proprio per questo sono state le prime a risentire della cancel culture, quel movimento culturale che sta riscrivendo – a torto o a ragione – opere immortali, con buona pace del contesto storico in cui sono originariamente nate.

Ovidio, Geoffrey Chaucer, Hemingway e Shakespeare

Qualche esempio? Le Metamorfosi di Ovidio sono state tradotte oltreoceano con l’avvertenza della presenza di “scene violente e sessuali”. E negli atenei inglesi anche Geoffrey Chaucer è finito all’indice, considerato “emotivamente disturbante”. Tempi duri anche per Il vecchio e il mare di Hemingway, bollato come esperienza di una “mascolinità tossica” mentre Frankenstein è stato segnalato perché contiene “omicidi e atti crudeli” e la Northampton University che aveva già censurato 1984 di George Orwell perché “offensivo e inquietante”, adesso punta il dito anche contro il mostro sacro, William Shakespeare, nella convinzione che Romeo e Giulietta “inneggi al suicidio”.

La cancel culture per gender, razza e sessualità

E che dire della questione razziale? Alcuni super classici per bambini come Robinson Crusoe e Tarzan, sono ormai introvabili oltre la Manica perché considerati scomodi e – tenetevi forte – la Chester University ha messo al bando Harry Potter perché affronta temi come “la sessualità e il gender”. Nel frattempo, le opere di Ian Fleming, il creatore di 007, sono state epurate da qualsiasi riferimento alla razza e lo stesso dicasi per sua maestà, Agatha Christie, la creatrice di Poirot e Miss Marple, dalle cui pagine (in accordo con la Agatha Christie Limited, una società gestita dal pronipote dell’autrice, James Prichard), verrà rimosso “il linguaggio potenzialmente offensivo e riferimenti all’etnia”. E poco male se si tratta di opere scritte ad inizio Novecento, nessuno può dirsi al sicuro anche perché un boicottaggio sui social può mettere in crisi la produzione di una serie tv, determinando una sostanziosa perdita economica del brand. Ecco, non si tratta di buoni sentimenti ma sempre del buon vecchio business.

La fabbrica di cioccolato riletta chiave gender fluid

Lo dimostra il recente caso scoppiato su Roald Dahl, il creatore de La fabbrica di cioccolato, approdato già due volte al cinema, la seconda con Johnny Depp nel ruolo di protagonista, in attesa dell’uscita imminente di Wonka con Timothee Chamalet che rilegge la storia in chiave gender fluid e decisamente in linea con i tempi, anche dal punto di vista di business. Dahl è stato uno scrittore geniale e spigoloso, tanto che oggi le sue fiabe sono state epurati da tutti i termini considerati offensivi; ad esempio, i folkloristici Umpa Lumpa della fabbrica di Willy Wonka non sono più “piccoli uomini”, ma “piccole persone”, e ne Gli Sporcelli, la signora Twit non era “orrenda e bestiale” ma solo “bestiale”.

Dalla cancel culture alla guerra per estremisti

In questo labirinto di distinguo e censure si mescola tutto, dalle statue tirate giù dalla folla inferocita contro il razzismo alla critica revisionista contro i cartoni degli anni ’80, rei di sessualizzare il corpo, trasformando la sacrosanta battaglia per un mondo più equo e il tema del #MeToo in una guerra per estremisti e leoni da tastiera, in cui tutti sembrano andare a caccia del quarto d’ora di celebrità, pronti ad operazione mediatiche talvolta disperate pur di farsi notare.

A cosa serve la letteratura

E allora, vale la pena porsi una scomoda domanda: a cosa serve la letteratura? Con l’intento di “depurare” ogni possibile scoria dalla pagina, corriamo il rischio di leggere testi neutri, docili, addomesticati, mai urticanti, gender fluid ma drammaticamente incapaci di creare conflitti e scatenare emozioni, trame ruffiane che non scontentano nessuno. Eppure, l’intento finale della letteratura – di quella vera – dovrebbe essere proprio questo, squarciando l’indifferenza e facendoci sanguinare l’anima, per mostrarci punti di vista inediti e non necessariamente condivisibili, un’alterità che apre verso il mondo, lasciando filtrare la luce dalle crepe. Storicamente, proprio nel momento in cui si è iniziato a mettere in dubbio la libertà di pensiero e sono stati messi all’indice i libri scomodi, abbiamo assistito alla nascita di sanguinose dittature, dal fascismo al nazismo. E questo faremmo bene a non dimenticarlo mai.

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Francesco Musolino
Francesco Musolino
Francesco Musolino (Messina, 1981), giornalista culturale e scrittore. Collabora con diverse testate nazionali occupandosi di libri, società e tecnologia. Nel 2019 ha esordito con il romanzo L'attimo prima (Rizzoli, 2019). Nel 2022 ha pubblicato il noir mediterraneo Mare Mosso (Edizioni e/o). Ideatore del progetto lettura no profit @Stoleggendo, collabora con la Scuola Holden.

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