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Casinò di Taormina: dal boom alla chiusura nel 1964. Roma contro Sicilia

Nei primi anni Sessanta era luogo di ritrovo di star internazionali, ma dopo poco tempo fu chiuso a causa di un'indagine. È guerra burocratica con il governo centrale. Da quel momento la casa da gioco non ha più riaperto, malgrado diversi tentativi legislativi. La speranza non è ancora tramontata e lo scorso 25 maggio è stata presentata una ulteriore proposta

C’era una volta il casinò di Taormina. Un luogo di lusso e divertimento nel cuore della “perla dello Jonio”, frequentato da star internazionali del calibro di Marlene Dietrich, Gregory Peck e Cary Grant. Artisti simbolo dei primi anni Sessanta. Proprio il periodo in cui, nel volgere di pochi anni, la casa da gioco taorminese aprì, lavorò e chiuse, a causa di una intricata vicenda di ricorsi giuridici. “Una vicenda emblematica, dal momento che talune analogie riscontrabili con il Casinò di Saint-Vincent non hanno condotto ad analoghi esiti”, scrive Francesca Bailo, associato di Diritto costituzionale dell’Università di Genova nel suo studio “I casinò tradizionali in Italia”, pubblicato all’interno del volume “Giochi e scommesse sotto la lente del giurista” (Genova University Press, 2001). Mentre la casa da gioco valdostana è tutt’oggi in attività – con incassi milionari, che l’anno scorso hanno superato i sessanta milioni di euro – quella taorminese chiuse i battenti nel lontano 1964 per non riaprirli più, malgrado le diverse proposte di legge depositate negli anni. L’ultima, presentata lo scorso 25 maggio, aspetta di essere discussa.

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Guerra tra Palermo e Roma

La vicenda del casinò di Taormina inizia nel lontano 1949. Il primo atto, ricostruisce Bailo, è un decreto della Regione che autorizza l’Etal, Ente turistico ed alberghiero della Libia, “a svolgere in Sicilia, per la durata di venti anni, i programmi inerenti al proprio scopo di incremento turistico ed alberghiero, ivi compreso l’esercizio del gioco d’azzardo”. L’Ente in questione era autorizzato a operare sul territorio italiano da una speciale legge adottata in tempo di guerra, che termina i suoi effetti nel 1951. Troppo poco tempo, non se ne fa nulla. A maggio 1959, un altro decreto della Regione assegna l’autorizzazione per l’apertura di un casinò a una “società sub-concessionaria” dell’Etal. I lavori non fanno in tempo a partire che a giugno 1959 Roma ferma tutto. A questo punto viene sollevato un doppio conflitto d’attribuzione. Il primo della Regione nei confronti dello Stato, per aver violato “la sfera di competenza a questa costituzionalmente attribuita” in materia di turismo. Il secondo dallo Stato nei confronti della Regione, “per aver consentito un’attività vietata dagli articoli 718 e seguenti del Codice penale“. Ovvero quelli che puniscono il gioco d’azzardo.

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L’apertura a villa Mon Repos

Un vero guazzabuglio normativo, che secondo la docente si risolve in pareggio. Da una parte la Corte costituzionale osserva “che non spetta allo Stato annullare i provvedimenti regionali” in materia di turismo, dall’altra stabilisce “che non spetta alla Regione emanare provvedimenti in materia di giochi d’azzardo in deroga a norme penali”. Non finisce qui. Dopo un ulteriore giro di decreti e annullamenti, che finiscono nuovamente di fronte alla Consulta, la Regione siciliana “batté una terza via, provando, cioè, a istituire il Casinò municipale di Taormina con delibera consiliare numero 263 del 6 marzo 1963″. La casa da gioco apre nella splendida cornice di villa Mon Repos, edificio liberty risalente a inizio Novecento, sotto la guida del Commendatore Domenico Guarnaschelli, già direttore della casa da gioco di Tripoli. Per alcuni mesi le cose vanno per il meglio, e il nuovo casinò diventa tappa obbligata per il jet set internazionale. Anche Roma, del resto, ci guadagna. Grazie a una legge del febbraio 1963, scrive Bailo, “si riconosceva la riscossione da parte dello Stato di ingenti somme provenienti dal funzionamento del Casinò di Taormina”.

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La fine del sogno del casinò

La sorpresa, però, è dietro l’angolo. Nel 1964 infatti viene aperto “un procedimento penale nei confronti dell’esercente la casa da gioco per il reato di cui agli articoli 718 e 719 del Codice penale, definito, peraltro, con l’assoluzione dell’imputato”. In attesa della sentenza, però, il casinò chiude definitivamente i battenti, “a nulla valendo i successivi tentativi di riaprirlo attraverso decreti assessorili, richieste di autorizzazione inoltrate al Ministero dell’Interno o, ancora, la proposizione di iniziative legislative parlamentari”. Da allora sono passati quasi sessant’anni, ma nulla è cambiato. Bailo ricorda “le altre – tutte vane – iniziative volte a consentire l’apertura (e, più spesso, la riapertura) di case da gioco in pressoché tutto il territorio nazionale, sia con l’introduzione di una disciplina generalizzata, sia con la previsione di norme di favore ad hoc per singole situazioni locali”. L’ultima proposta, come detto, è stata depositata lo scorso maggio. Soltanto il tempo dirà se andrà a buon fine o se si aggiungerà all’elenco dei tentativi non riusciti.

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Valerio Musumeci
Valerio Musumeci
Valerio Musumeci, giornalista e autore. Nel 2015 ha esordito con il pamphlet storico-politico "Cornutissima semmai. Controcanto della Sicilia buttanissima", Circolo Poudhron, con prefazione della scrittrice Vania Lucia Gaito, inserito nella bibliografia del laboratorio “Paesaggi delle mafie” dell'Università degli Studi di Catania. Nel 2017, per lo stesso editore, ha curato un saggio sul berlusconismo all'interno del volume "L'Italia tradita. Storia del Belpaese dal miracolo al declino", con prefazione dell'economista Nino Galloni. Nel 2021 ha pubblicato il suo primo romanzo, "Agata rubata", Bonfirraro Editore.

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