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Covid e inflazione, Inps: aziende salve grazie a Cig e taglio ai contributi

Le misure di sostegno per le imprese, come la Cassa integrazione o la decontribuzione, hanno tenuto in piedi il sistema delle aziende. La crisi dovuta all'inflazione non ha influenzato particolarmente la richiesta di lavoro da parte delle imprese. Lo certifica l'ultimo Rapporto annuale dell'Inps

Covid e inflazione, aziende salvate dagli incentivi all’occupazione, che secondo l’Inps hanno funzionato. Le misure di sostegno per le imprese, come la Cassa integrazione o la decontribuzione, hanno tenuto in piedi il sistema delle aziende durante la pandemia. La crisi dovuta all’inflazione non ha influenzato particolarmente la richiesta di lavoro da parte delle imprese. Lo certifica l’ultimo Rapporto annuale dell’Inps, secondo il quale il numero delle matricole, cioè le iscrizioni delle aziende al sistema previdenziale, è stato in crescita dal 2018 (con 1,47 milioni di posizioni aziendali attive), per toccare i suoi valori più alti nel secondo e terzo trimestre del 2022 (1,55 milioni di posizioni). Questa dinamica crescente è stata interrotta solo nel 2020 dalla crisi pandemica: le matricole sono scese a 1,45 milioni. Ancora: da marzo 2022 il rincaro dei prezzi energetici e le tensioni geopolitiche hanno effetti “poco significativi“, scrive l’Istituto di previdenza, sulla dinamica dell’input di lavoro, ovvero la ricerca di personale da parte delle aziende. Inps riscontra infatti che tra la creazione e la “distruzione” di lavoro, “l’economia continua a creare posti di lavoro, anche se meno dell’inizio del 2022. Ciò suggerisce che la crisi dovuta all’inflazione abbia avuto conseguenze modeste o non significative sulla domanda di lavoro complessiva”.

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Meno contributi Inps, ma stesse buste paga

La ripresa post-Covid è stata favorita anche dagli incentivi per i datori di lavori e dall’esonero dei contributi previdenziali. Tra il 2020 e il 2022, il numero di contratti di lavoro “incentivati” è aumentato del 118 per cento e i fondi dedicati ai lavoratori dipendenti sono aumentati del 129 per cento: da da 3,2 a 7,45 miliardi di euro. Secondo i dati riportati da Inps, il totale delle assunzioni contrattuali è aumentato così da 6,5 a 8,9 milioni. Dei rapporti cosiddetti “incentivati“, il 94 per cento è rappresentata da “Decontribuzione Sud” (64 per cento), Esonero Giovani (6,8 per cento), Incentivo Donna (4,5 per cento) e Apprendistato (23,5 per cento). Misure che hanno avuto un impatto positivo sull’occupazione, ma non sempre sulle retribuzioni. Nel caso di Decontribuzione Sud, per esempio, le retribuzioni dei lavoratori non hanno avuto aumenti di fronte alla riduzione dei contributi del 30 per cento. “Esonero Giovani“, invece, con riduzioni fino al cento per cento, i vantaggi li ha prodotti: “Per quanto riguarda le retribuzioni – scrive Inps – dalla fine del 2021 si assiste anche ad un premio salariale dei trattati. Il minor costo del lavoro dovuto all’esonero viene almeno in parte traslato sui lavoratori“.

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Esonero per i lavoratori: maggiore netto in busta paga

Oltre alle decontribuzioni dal lato dell’azienda, ci sono stati esoneri anche per quanto riguarda le quote contributive a carico direttamente del lavoratore. La quota di esonero nel 2023 è aumentata fino al sette per cento. Nell’intenzione del legislatore questo deve servire a contrastare la perdita del potere di acquisto dovuta all’inflazione, ovvero a ottenere una somma maggiore in busta paga perché aumenta l’imponibile fiscale. Inps evidenzia come già nel 2022 il conseguente aumento dell’imponibile fiscale sia stato tra i 30 e i 40 euro mensili. A ottobre 2023 l’aumento dell’imponibile raggiungerà i cento euro. Per un quarto dei lavoratori gli aumenti oscilleranno tra i 125 e i 150 euro. Di conseguenza aumenterà il netto in busta. “Importi assolutamente non trascurabili – sottolinea l’Istituto – considerato che il valore medio mensile delle retribuzioni lorde è di circa 1.500 euro“.

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Credito d’imposta: la Zes unica per il Mezzogiorno

In tutto il territorio nazionale si è fatto largo uso di Cassa integrazione ed esoneri contributivi, ma in particolare al Sud le aziende possono contare su una fiscalità di vantaggio derivata dall’istituzione nel 2017 delle Zone economiche speciali (Zes). Le due Zes siciliane originariamente previste (una per la Sicilia occidentale con base a Palermo e una per la Sicilia orientale con base a Catania) verranno inglobate adesso in un’unica Zes per il Mezzogiorno, come previsto dal recente Decreto Sud approvato dal Consiglio dei ministri il sette settembre. In tre anni la somma messa a disposizione dal governo nazionale è di 4,5 miliardi di euro. La gestione passa a una cabina di regia unica sotto la presidenza del Consiglio dei ministri. Secondo il governo, nell’area perimetrata come Zes le aziende (sia attive che nuove) potranno contare su autorizzazioni uniche per l’avvio delle attività e su un credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive e di immobili. Il limite è di 100 milioni di euro di beni acquistati agevolabili per ciascun progetto di investimento. Un portale web dedicato, di prossima apertura, fornirà tutte le informazioni necessarie.

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Agostino Laudani
Agostino Laudani
Giornalista professionista, nato a Milano ma siciliano da sempre, ho una laurea in Scienze della comunicazione e sono specializzato in infografica. Sono stato redattore in un quotidiano economico regionale e ho curato la comunicazione di aziende, enti pubblici e gruppi parlamentari. Scegliere con accuratezza, prima di scrivere, dovrebbe essere la sfida di ogni buon giornalista.

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