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Dipendenti pubblici e privati in Italia: dove conviene lavorare e perché

Pubblica amministrazione vecchia rispetto alla media dei 38 Paesi Ocse. Opportunità migliori per la stabilità occupazionale nel settore pubblico rispetto al privato, soprattutto al Sud. L'analisi dell'Inps nell'ultimo rapporto annuale su salari, retribuzioni, carriera

I dipendenti pubblici in Italia sono solo il 13 per cento del totale. Nel 2022 i pubblici erano tre milioni e 310 mila. Un valore “significativamente inferiore” alla media dei Paesi aderenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) che è di circa il 18 per cento, scrive Inps nel suo ultimo rapporto annuale. L’istituto di previdenza sottolinea come l’Italia sia “uno dei pochi paesi Ocse ad avere un tasso di crescita negativo tra il 2007 e il 2019″. Significa che i dipendenti pubblici vanno in pensione e non vengono rimpiazzati. Non a caso l’Italia, sempre rispetto agli altri 38 Paesi dell’Ocse, ha la percentuale di lavoratori nella pubblica amministrazione centrale più anziana. “La percentuale di occupati con più di 55 anni calcolata nel 2022 è quasi del 50 per cento“, evidenzia Inps, contro la media Ocse di circa il 26 per cento. Ci salviamo solo per la parità di genere. Le donne nella Pa sono quasi il 60 per cento del totale, un valore in linea con la media Ocse. Ad assumere di più è il comparto della scuola, seppur spesso a tempo determinato e con i più bassi valori di reddito annuale, rispetto al resto della Pa.

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I dipendenti pubblici fanno più ore dei privati

Nel periodo preso in esame da Inps, gli ultimi otto anni, è in evidente calo anche il numero di enti che impiegano dipendenti pubblici. Dal valore massimo di 13.800 del 2014 si passa ai 12.200 nel 2022. Il 18 per cento di questi sono enti di diritto privato con almeno un dipendente iscritto alla previdenza. Quel che più sorprende, però, sono i redditi annuali medi dei dipendenti pubblici. Sono decisamente più elevati rispetto al settore privato, in media di diecimila euro. Non perché i salari siano più alti, bensì perché le ore lavorate sono maggiori: circa dieci settimane in più all’anno. Per Inps, il datore di lavoro pubblico riesce infatti ad assicurare “una maggiore stabilità occupazionale“. Emerge anche come i lavoratori meno qualificati del settore pubblico ricevano salari considerevolmente più alti (persino il doppio) rispetto ai corrispondenti dipendenti del settore privato.

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Lavorare al Sud “premia” di più che al Nord

Tra dipendenti pubblici e privati le differenze si notano eccome a seconda dell’area geografica. “I redditi annuali, i salari settimanali e le settimane lavorate sono relativamente omogenee fra aree geografiche nel pubblico, e altamente eterogenei, a sfavore soprattutto del Sud, nel settore privato”, scrivono i tecnici dell’Inps. La combinazione dei tre fattori genera una sorta di vantaggio del pubblico sul privato, che l’Istituto definisce “premio retributivo grezzo“. Lavorare nel settore pubblico rispetto al privato è più vantaggioso economicamente in media dell’otto per cento. Tale “premio” si riduce al tre per cento al Nord e aumenta a circa il 23 per cento per il Sud“. È una questione anche di caro vita. Per le donne, c’è invece una penalizzazione. A parità di età e di settimane lavorate nell’anno, una donna perde” il 6,9 per cento nel privato e solo l’1,9 per cento nel pubblico. “La discriminazione di genere è decisamente inferiore nel pubblico, dove i redditi delle donne non risentono in modo significativo delle differenze territoriali, che invece hanno un impatto marcato per le donne occupate nel privato, fortemente penalizzate al Sud“, evidenzia l’Inps.

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Una maggiore stabilità per i giovani nella Pa

Sebbene l’Inps sostenga che qualcosa stia cambiando, finora per i giovani l’impiego nella Pa ha dei vantaggi, soprattutto all’inizio della carriera, perché i salari più bassi sono compensati da una maggiore stabilità rispetto al settore privato. “La retribuzione settimanale dei giovani nel pubblico impiego – scrive Inps – parte al primo anno di esperienza lavorativa molto più in bassa, circa a 320 euro, in seguito la sua crescita è meno pronunciata e al settimo anno di esperienza non supera i 500 euro“. I giovani lavoratori del privato sembrano quindi retribuiti in maniera migliore nei primi anni della loro esperienza lavorativa, almeno con riferimento al solo salario settimanale. Inps precisa però che questa ultima osservazione è molto condizionata dal comparto della scuola, negli ultimi anni fortemente “nutrito” da un ingresso continuo di nuovi supplenti che tendono a far abbassare la media retributiva.

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Agostino Laudani
Agostino Laudani
Giornalista professionista, nato a Milano ma siciliano da sempre, ho una laurea in Scienze della comunicazione e sono specializzato in infografica. Sono stato redattore in un quotidiano economico regionale e ho curato la comunicazione di aziende, enti pubblici e gruppi parlamentari. Scegliere con accuratezza, prima di scrivere, dovrebbe essere la sfida di ogni buon giornalista.

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