Anche la Sicilia fa i conti con il problema delle dispersioni di metano in atmosfera da impianti che trattano fonti fossili. Della questione si è occupata Legambiente e il bilancio finale della campagna “C’è puzza di gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso”, ha monitorato 16 impianti tra Sicilia, Campania e Basilicata legati prevalentemente al trasporto di gas come gasdotti, centrali di compressione, impianti di regolazione e misura di gas, pozzi e centrali di trattamento e raccolta di idrocarburi. Con una termocamera a infrarossi sono stati controllati circa 150 punti di dispersioni diretti e di questi 128 hanno a che fare con perdite, ovvero emissioni di gas fossile da bulloni, giunture, manometri, valvole, tubature e altre componenti. In soli nove giorni di analisi, Legambiente ha individuato ben 16 impianti con emissioni significative, di cui sette in Sicilia, sei in Basilicata e tre in Campania.

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Rilevati 42 punti di emissione in sette impianti
Nei sette impianti siciliani, tutti legati al trasporto di gas, Legambiente ha rilevato emissioni significative in 42 punti. Tra i casi più preoccupanti “spicca sicuramente il Greenstream – scrivono gli ambientalisti – il gasdotto che collega la Libia all’Italia gestito dalla Greenstream Bv, una compagnia che vede Eni e Noc (Compagnia petrolifera nazionale libica) azioniste alla pari, e attraverso il quale nel 2022 sono stati importati ben 2,5 miliardi di metri cubi di gas fossile, ma che possiede una capacità di 11,5 mld di metri cubi l’anno”. A gennaio 2023 Eni, alla presenza del Governo, ha siglato un accordo con Noc che prevede nuove attività produttive di idrocarburi in Libia che dovrebbero portare ad un aumento dei flussi di gas a partire dal 2026.

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Casi a Gela, al terminal del gasdotto
“In particolare a Gela – prosegue Legambiente – presso il terminal di ricevimento del gasdotto, sono stati osservati due importanti casi di rilascio volontario continuo in atmosfera (venting) e ben nove altre perdite di vario genere. A queste si aggiungono quelle rilevate in un impianto di regolazione e misura (Remi) dove sono state individuate 12 emissioni di metano, di cui due casi di venting, e dieci perdite da valvole, tubature e contatori”. Altro caso che secondo gli esperti desterebbe preoccupazione sono i tre rilasci diretti di metano in atmosfera osservati presso la Centrale di compressione di Enna, una delle infrastrutture del gas tra le più importanti in Italia in quanto luogo di trasmissione del combustibile fossile che arriva dal Nord Africa, pari ad un terzo del metano consumato in Italia. In questo caso il sito è stato monitorato per due volte a distanza di due giorni e sono state trovate le stesse emissioni da una delle due fonti precedentemente riprese a cui si è aggiunto un nuovo punto di emissione.
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Ciafani: “Hub delle rinnovabili e non del gas”
“La crisi energetica del 2022, segnata anche dall’aggressione militare russa in Ucraina, ha mostrato in maniera chiara a imprese, cittadini e amministrazioni pubbliche tutti i limiti della dipendenza italiana ed europea dalle fonti fossili. Una situazione – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – che in Italia rischia di peggiorare alla luce non solo delle sostanziose politiche di diversificazione degli approvvigionamenti di gas fossile, ma anche a causa dello sviluppo delle nuove infrastrutture fossili su cui ha intensamente lavorato il governo Draghi per affrontare il tema della dipendenza dal gas russo e che il nuovo esecutivo Meloni sta proseguendo proponendo al Paese e al mondo l’Italia come il principale hub del gas dell’Europa. Una scelta totalmente sbagliata perché il nostro Paese deve diventare l’hub delle rinnovabili e non quello del gas, attraverso semplificazioni normative, autorizzazioni più veloci e investimenti ingenti su grandi impianti industriali, comunità energetiche, accumuli e reti”.