La Sicilia va a petrolio, almeno all’estero. Nel primo semestre 2022 oltre il 65 per cento delle esportazioni siciliane deriva dal greggio, per un valore di 5,3 miliardi su un totale di 8,1 miliardi. L’Isola fa meglio del resto d’Italia, e di parecchio. Le vendite all’estero di prodotti petroliferi sono cresciute del 78 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021, contro una media del 22,5 per cento nel resto del Paese. È quanto emerge dal report “Sace per la Sicilia: export e green”, che elabora dati dell’Istat, Istituto nazionale di statistica. I risultati dell’Isola sono merito soprattutto di Siracusa e del suo polo petrolchimico, sotto i riflettori per il rischio di chiusura dello stabilimento Isab di Priolo. Escludendo il petrolio, invece, la prima provincia per esportazioni è Catania, con oltre un miliardo di fatturato. A livello nazionale la Sicilia è la decima regione per export, in una classifica guidata da Lombardia (circa 80 miliardi), Emilia-Romagna e Veneto (oltre 40 miliardi).
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Il confronto tra Regione e Paese
Per quanto riguarda le esportazioni, si legge nel report Sace, “l’intensa crescita siciliana è spinta dal rialzo dei raffinati”, ma anche gli altri settori commerciali “crescono sopra la media nazionale”. Come detto l’export petrolifero dell’Isola ha sfondato quota cinque miliardi, migliorando il trend del 2020, quando aveva toccato i 10,5 miliardi, quasi il 40 per cento in più rispetto al 2020. Una crescita maggiore di quella italiana, che l’anno scorso con 516 miliardi era cresciuta “soltanto” del 18 per cento. Per quanto riguarda i prodotti non petroliferi, il primo semestre 2022 segna una crescita dell’export siciliano del 26 per cento con quasi tre miliardi di euro, mentre la media italiana si ferma al 20,5 per cento, con quasi 95 miliardi. I dati siciliani migliorano quelli del 2021, quando l’Isola aveva esportato 4,6 miliardi di prodotti “non-oil”, il 13 per cento in più rispetto al 2020. Nello stesso periodo l’Italia ha esportato merci per 502 miliardi, il 17 per cento in più del 2020.
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I settori in crescita (e in perdita)
Nel dettaglio, le esportazioni siciliane crescono del 140 per cento per quanto riguarda il petrolio non lavorato, e del 128 per cento per i raffinati. Il greggio è di gran lunga il comparto con i dati migliori, ma secondo Sace “ampi incrementi sono diffusi nella maggior parte di settori di export della Regione”. Crescono infatti le vendite all’estero di legno, carta e stampa (117 per cento), apparecchi elettronici (48 per cento), alimentari e bevande (47,5 per cento), prodotti chimici (40 per cento), mezzi di trasporto (22,5 per cento), apparecchi elettrici (22 per cento), gomma e plastica (19 per cento), tessile e abbigliamento (14,5 per cento), prodotti agricoli e meccanica strumentale (entrambi dell’un per cento). A mostrare una tendenza negativa sono soltanto i prodotti in metallo, in calo di quasi il nove per cento, e il settore farmaceutico, che rispetto al 2021 – anno della messa in commercio dei vaccini contro il Covid-19 – perde il 17 per cento.
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I dati per provincia e le “destinazioni”
Come detto il Siracusa supera i cinque miliardi di esportazioni, ma si ferma a 602 milioni escludendo i prodotti lavorati nel polo petrolchimico di Priolo, Augusta e Melilli. Catania supera invece un miliardo di esportazioni “non-oil”, soprattutto grazie ai componenti elettronici prodotti nella cosiddetta “Etna Valley”. Seguono Messina (800 milioni, di cui 290 “non-oil”), Ragusa (360 milioni), Trapani (187 milioni), Palermo (164 milioni), Agrigento (87 milioni), Caltanissetta (69 milioni, di cui 24″non-oil”) ed Enna (nove milioni). Per quanto riguarda i Paesi di destinazione dei prodotti, l’export italiano di dirige soprattutto in Turchia (800 milioni), Gibilterra (745 milioni), Stati Uniti (675 milioni), Croazia (540 milioni) e Francia (478 milioni). Se si escludono i prodotti petroliferi il primo Paese di destinazione è proprio la Francia (304 milioni), seguita da Germania (257 milioni), Stati Uniti (231 milioni) e Belgio (150 milioni).