“Quest’anno la trebbiatura, cioè la raccolta del grano, in Sicilia è andata mediamente bene, e soprattutto è aumentato l’interesse, e quindi la richiesta, degli operatori italiani e stranieri per i grani locali o grani antichi siciliani”. Giuseppe Li Rosi è presidente di Simenza, l’associazione che da oltre cinque anni si occupa in generale della tutela e valorizzazione della biodiversità siciliana e più in particolare dei grani antichi. Un settore in grande sviluppo. Sempre più spesso infatti si sente parlare di Timilia, Perciasacchi, Russello, Maiorca, Margherito. I prodotti preparati con le farine di questi grani sono sempre più presenti anche nei supermercati, e i consumatori che li apprezzano sono sempre più numerosi.
Oltre 50 tipi varietà
Abbiamo intervistato Li Rosi proprio a proposito dei grani antichi e della riscoperta dei prodotti locali siciliani, e della opportunità economica rappresentata dalle coltivazioni tradizionali per gli agricoltori che decidono di privilegiare qualità e tradizione rispetto a produzioni più convenzionali. “La Sicilia è un centro di biodiversità eccezionale – dice Li Rosi- basti pensare che abbiamo oltre 50 tipi di grano, il patrimonio più grande d’Italia”. La biodiversità dell’isola, aggiunge, rappresenta il 50 per cento della biodiversità italiana. E l’Italia a sua volta possiede la metà di quella totale europea. In sostanza “la Sicilia da sola racchiude un quarto della biodiversità europea”.
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La concorrenza sul biologico
Li Rosi cita anche “il primato di rispetto dell’ambiente e della salubrità della Sicilia. Nell’isola abbiamo il 28 per cento di superficie agricola coltivata a regime biologico, siamo oltre l’obiettivo dell’Europa, che richiede agli Stati membri il 25 per cento di superficie bio entro il 2030”. Una tendenza che però sembra incontrare difficoltà, visto che due anni fa, dice Li Rosi, le coltivazioni bio rappresentavano il 31 per cento. Il calo riguarda anche le superfici destinate al frumento, e secondo il presidente di Simenza è dovuto alla scarsa remunerazione del grano bio rispetto al convenzionale, “solo un centesimo di differenza per chilo. Non è remunerativo, e tanti stanno abbandonando il biologico per tornare al convenzionale”. La scarsa valutazione del bio sarebbe conseguenza “della concorrenza di paesi come Turchia e Romania, dove ci sono minori costi sia di coltivazione che di certificazione”.
Erosione del patrimonio isolano
La grande abbondanza di varietà di grano in Sicilia non viene tutelata adeguatamente né da banche dati genetiche, né da denominazioni come Dop o Igp che proteggono altre tipologie di prodotti. “Infatti c’è un fenomeno di erosione del nostro patrimonio – spiega Li Rosi – perché sia dal resto d’Italia che dall’estero, per esempio da Australia, Spagna, Turchia, operatori economici sono venuti da noi a scegliere le migliori varietà per fare impianti di successo nei loro territori”.
Business, cultura e qualità
Simenza conta circa 70 produttori di grani locali o antichi ma anche tanti altri agricoltori impegnati nella coltivazione di altre tipologie di alimenti come legumi, ortaggi, frutti. Tutti con il denominatore comune della tutela delle tradizioni, della qualità e della salubrità. Insomma l’aspetto economico comincia a premiare gli imprenditori che hanno scelto questa filosofia produttiva basata sulla qualità e sul rispetto per l’ambiente, “ma la biodiversità è anche un mondo di cultura, di conoscenza di persone e territori. Abbiamo l’occasione di creare una economia al cui centro ci sia l’uomo”, conclude Li Rosi.