Grano, alla Stazione di Caltagirone tanto da fare e pochi soldi: mezzi di 50 anni fa

Grano, alla Stazione di Caltagirone tanto da fare e pochi soldi: mezzi di 50 anni fa

La più importante “banca” del germoplasma della Sicilia deve fare i conti con problemi di uomini, mezzi e finanziamenti. Questa la situazione della Stazione consorziale sperimentale di granicoltura di Caltagirone secondo il ricercatore Nello Blangiforti, tra i principali collaboratori dell’Ente in provincia di Catania. “Per consentirci di portare avanti al meglio le nostre attività di ricerca, avremmo bisogno di circa il doppio dei fondi che ci vengono erogati attualmente”, spiega.Come raccontato nei giorni scorsi daFocuSicilia, la stazione è una delle realtà del settore più importanti in Italia, con circa cinquanta varietà locali di frumento e trecento tipologie di semi conservati. Tuttavia da parte dei soci del consorzio – oltre alla Regione ci sono anche il Comune di Caltagirone, la provincia di Trapani e le Camere di Commercio del Sud Est, di Caltanissetta e Agrigento – ci sarebbe poca attenzione. “In questi anni siamo andati avanti soprattutto grazie alla buona volontà del personale, che grazie al suo lavoro ci ha permesso di superare alcune carenze. Dalla Regione, invece, c’è stata spesso poca attenzione”, dice il ricercatore. Leggi anche –Grano, è guerra sul “perciasacchi”. “Multinazionali minacciano il mercato” Come detto, l’ente deve fare i conti anzitutto con un problema di finanziamenti. Il motivo, secondo Blangiforti, è semplice. “Nel corso del tempo molti dei soci del consorzio si sono sfilati, per non contribuire economicamente. I fondi a nostra disposizione, di conseguenza, si sono ridotti, e a oggi vengono principalmente dalla Regione”. Secondo il sito ufficiale dell’ente, a lasciare sono state le province di Palermo, Catania, Messina, Agrigento, Siracusa, Caltanissetta, ma anche la Camera di Commercio di Trapani e l’Unicredit, ex Banco di Sicilia. Meno soci, meno fondi a disposizione. Per fortuna, la stazione può contare anche su risorse proprie. “Il Comune di Caltagirone ci ha concesso in comodato d’uso gratuito 60 ettari di terreno. Su circa 30 di questi coltiviamo la varietà di grano Simeto, per conto dell’azienda Pro Seme. Inoltre riceviamo le royalties delle varietà da noi costituite, cioè rese più forti e produttive”. La stazione può contare anche “su altri piccoli contratti con aziende minori”, nonché sulla vendita di leguminose coltivate con il sistema della “rotazione” dei campi. Fonti di finanziamento che complessivamente “valgono circa 15 mila euro l’anno”. Leggi anche –Grani antichi, oro di Sicilia. L’Isola capitale nazionale della biodiversità Strettamente connesso alle risorse economiche il tema della carenza di personale. “Alcune figure tecniche previste dalla nostra pianta organica, per esempio un chimico e un biologo, negli ultimi anni sono andate in pensione e non sono state rimpiazzate”. La Stazione ha pubblicato dei bandi per “incarichi di collaborazione e incarichi professionali finalizzati allo svolgimento di attività di ricerca”, ma la partecipazione è stata limitata. “A essere selezionati sono soprattutto ragazzi neolaureati, visto che i ricercatori senior non hanno interesse a lavorare con noi soltanto per un anno”. Il risultato è che “nemmeno il tempo di formare il personale, e siamo costretti a salutarlo”, situazione che nel complesso “rallenta la produttività della stazione, compresa la ricerca e la divulgazione”. Su quest’ultimo fronte – espressamente citato nello statuto, che prevede “la diffusione dei risultati della ricerca” attraverso “pubblicazioni, riunioni e corsi” – l’ente ha dovuto tirare il freno. “Un tempo riuscivamo a pubblicare anche 12 studi l’anno. Oggi, grazie alle collaborazioni con l’Università di Catania e il Crea di Palermo, arriviamo a cinque”. Leggi anche –Grano: i costi salgono del 60 per cento. Prezziari fermi, rischio speculazioni Anche per quanto riguarda gli automezzi, la stazione di Caltagirone deve fare i conti con diverse criticità. “Il nostro parco macchine è più che obsoleto. Riusciamo a farlo funzionare soltanto grazie alla pazienza dei nostri operai, che sistemano i veicoli di continuo”, dice Blangiforti. Facendo anche alcuni esempi. “Abbiamo una mietitrebbia parcellare – che serve a raccogliere diverse piante nello stesso momento – che ha il motore del maggiolino del 1975. Poi abbiamo due trattori, uno di trenta e uno di vent’anni”. Mezzi che vanno “rigorosamente a benzina” e sono soggetti a frequenti guasti. Per non parlare di aratro e seminatrice, “che hanno una quarantina d’anni a testa”. Per Blangiforti sarebbe importante rinnovare il parco mezzi, “anche in un’ottica di sostenibilità”. Complessivamente, secondo il ricercatore, la stazione di Caltagirone sconta una carenza di attenzione da parte dei soci. “Sicuramente non è un fatto volontario, ma non so se ci si rende pienamente conto dell’importanza di ciò che facciamo qui. Prossimamente speriamo di avere un’interlocuzione con il dirigente Cartabellotta e l’assessore regionale Sammartino. Ci auguriamo che comprendano che abbiamo bisogno di sostegno, e ci mettano nelle condizioni giuste per lavorare”.