Cinquanta varietà locali di frumento, trecento tipologie di semi conservate, una banca del germoplasma tra le più importanti in Italia. Sono alcuni dei numeri della Stazione consorziale sperimentale di granicoltura per la Sicilia, ente vigilato dalla Regione con sede a Caltagirone, nel catanese. Una realtà fondata nel lontano 1927 – ai tempi della “battaglia del grano” voluta dal regime fascista – che da allora non ha mai smesso di studiare, catalogare, migliorare il frumento siciliano. Del consorzio fanno parte la Regione siciliana, il Comune di Caltagirone, la provincia di Trapani e le Camere di Commercio del Sud Est, di Caltanissetta e Agrigento. A livello regionale, denunciano alcuni esperti, non ci sarebbe l’attenzione necessaria per una struttura così importante. “La Stazione è di pertinenza dell’Assessorato regionale all’agricoltura che, in tutti questi anni, non ha mai brillato in quanto ad attenzione verso questo gioiello, che oggi fonda la sua attività sulla buona volontà di pochi singoli, il ricercatore Nello Blangiforti su tutti”, denuncia Paolo Caruso, agronomo e consulente del dipartimento di Agricoltura dell’Università di Catania.
Leggi anche – Grano, è guerra sul “perciasacchi”. “Multinazionali minacciano il mercato”
Sicilia culla dei grani antichi
Come detto, la Stazione di Caltagirone svolge un ruolo importante, in particolare sui grani antichi. Come ricordato da FocuSicilia, l’Isola vanta il maggior numero di varietà a livello nazionale, con ben 57 tipologie coltivate, di cui 27 iscritte nel Registro nazionale delle varietà da conservazione. Su 270 mila ettari coltivati a grano in Sicilia, circa 10 mila ospitano grani antichi. La produzione stimata è di 15 mila tonnellate, per un giro d’affari di circa 10 milioni l’anno. In questo contesto, la stazione di granicoltura di Caltagirone rappresenta un punto di riferimento. Tra gli obiettivi dell’ente, infatti, c’è quello di “curare selezionare, produzione e commercializzazione di sementi pregiate in relazione alle caratteristiche climatiche ed agronomiche della Sicilia”. Più in generale la Stazione intende “contribuire al miglioramento genetico del frumento duro, delle leguminose da foraggio, da granella e di altre colture erbacee con la costituzione di nuove varietà altamente produttive con caratteristiche di pregio”. Per farlo si punta anche sulla divulgazione, con “la diffusione dei risultati della ricerca” attraverso “pubblicazioni, riunioni, simposi, conferenze, corsi”.
Leggi anche – Grani antichi, oro di Sicilia. L’Isola capitale nazionale della biodiversità
L’attacco al frumento siciliano
Per Caruso, la Stazione di granicoltura “è una realtà non conosciuta ai più, ma che rappresenta uno dei vanti della Sicilia”. L’esperto ribadisce l’importanza della banca del germoplasma, in particolare per quanto riguarda i antichi. “Nella nostra Isola abbiamo varietà che, da sole, sono più numerose di quelli di tutte le altre regioni messe insieme. E sappiamo gli appetiti che i semi siciliani, soprattutto quelli rari, stanno suscitando in giro per il mondo”. Questi ultimi infatti rappresentano “un patrimonio che interessa molto e a molti, con fini tutt’altro che nobili”. Il riferimento è alle manovre di alcune grandi realtà del settore, per “mettere le mani” sulle varietà italiane. Un esempio è il grano turanico – o “khorasan” – iscritto al Registro nazionale delle varietà da conservazione malgrado sia geneticamente identico al “perciasacchi”, varietà siciliana protetta, che dovrebbe essere coltivata esclusivamente nel suo territorio da un numero ristretto di agricoltori “custodi”. “Il lavoro delle stazione di Caltagirone, spiega l’agronomo, “serve proprio a evitare che possano avvenire cose del genere, in un momento in cui la nostra granicoltura è sotto attacco”.
Leggi anche – Grano: i costi salgono del 60 per cento. Prezziari fermi, rischio speculazioni
La candidatura all’Unesco
L’ente svolge un ruolo importante solo sul piano teorico. La stazione, ricorda infatti Caruso, “riproduce annualmente questi semi e li dona agli agricoltori, che in questo modo li conservano anche ex situ“. Una missione fondamentale “per la conservazione del patrimonio genetico dei grani antichi siciliani”, a cui però non sarebbe dato il supporto necessario. “La Stazione oggi corre un grande rischio di sopravvivenza: non sono infatti alle viste interventi che possano assicurare un futuro a questa istituzione”. A rischio, sottolinea ancora l’agronomo, non ci sarebbe soltanto la stazione stessa ma anche “tutti i semi delle varietà che lì vengono custoditi e riprodotti: un tesoro dal valore inestimabile”. Per evitare che nei prossimi anni l’ente possa andare incontro a problemi, sono state avanzate diverse proposte, a livello regionale e nazionale, ma anche in sede internazionale. “Per assicurare un futuro alla Stazione e ai suoi semi, in attesa di un sussulto di orgoglio e di amor proprio di chi governa la nostra Regione, con altri appassionati, abbiamo cominciato a suggerire la proposta di farla diventare patrimonio Unesco”, conclude Caruso.