Una madre lavoratrice, in Italia, ha buone possibilità di non lavorare. Non per scelta, ma perché coniugare lavoro e famiglia continua a essere un tabù. Su di loro continua a cadere il peso della famiglia e di tutta l’organizzazione collaterale. Il tasso di occupazione per le mamme del Belpaese è del 55,5 per cento, ma il dato scende al 36,7 per cento nel Mezzogiorno. Nettamente favoriti i padri. A livello nazionale il tasso di occupazione è dell’83,2 per cento, ma anche nel Sud e nelle Isole, sebbene minore, è molto più alto di quello delle mamme, il 74,4 per cento. Sono i dati dell’ultimo rapporto su “Donne e lavoro” realizzato da Svimez, Associazione per lo sviluppo per l’industria del Mezzogiorno. Nel documento si legge che “i tempi di cura della famiglia condizionano le opportunità di lavoro delle madri, soprattutto nel Mezzogiorno”. Dal report emergono anche altri elementi. Per quanto riguarda i giovani, per esempio, “nelle famiglie si registrano tassi di occupazione sensibilmente più elevati per i genitori che per i figli (67,8 per cento contro il 56,1 per cento)”. I dati, come spesso accade, peggiorano al Sud. “Nel Mezzogiorno il divario genitori-figli è di 11 punti (53,7 contro 42,8 per cento) contro i nove del Centro-Nord”.
Leggi anche – Opzione Donna: proroga pensionamento anticipato, ma con alcune limitazioni
I fattori della crisi femminile
La fascia più sacrificata in assoluto resta quella delle donne e più i figli sono piccoli e peggio è. Il tasso di occupazione delle donne con figli in età prescolare, per esempio, è “particolarmente contenuto” e raggiunge il 53,9 per cento contro il 60,5 per cento delle madri con figli da sei a 17 anni. Ancora una volta il dato “crolla nel Mezzogiorno” e si attesta al 35,3 per cento per le madri con i figli in età prescolare, contro il 40,8 per cento delle mamme con figli in età scolare. La condizione delle mamme lavoratrici dipende da diversi fattori. Tra i più significativi, scrive Svimez, “la carenza di posti disponibili negli asili nido, gli elevati costi di accesso al servizio, la scarsa diffusione del tempo pieno nelle scuole dell’infanzia”. Carenze che “frenano la partecipazione al mercato del lavoro delle donne” e pongono una “questione italiana in Europa”. A pesare, come detto, è anche il divario territoriale. La differenza nel tasso di partecipazione al lavoro tra Nord e Sud “si attesta tra i 25 e i 30 punti percentuali per tutte le tipologie familiari”. Rispetto all’Ue, invece, il divario “è di circa 13 punti, media dalla quale il Centro-Nord è distante circa cinque punti, il Mezzogiorno ben 28 punti”.

Leggi anche – L’impresa femminile tra Covid e guerra in Ucraina: convegno dei commercialisti etnei
Le proiezioni sull’occupazione
La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro, si legge ancora nel report dell’associazione, “è un freno per le prospettive di crescita dell’economia italiana”. Un dato che incide “soprattutto alla luce di tendenze demografiche particolarmente negative”, che hanno un impatto decisivo sull’economia “per via del calo della popolazione in età da lavoro”. Su questo fronte nel report sono citati i dati dell’ultima relazione annuale della Banca d’Italia. “In base allo scenario delle più recenti proiezioni demografiche dell’Istat, nel 2040 la popolazione di età compresa tra 15 e 64 anni sarà inferiore di circa il 16 per cento rispetto al 2022 (circa sei milioni di persone in meno)“. Una proiezione che implicherebbe “una riduzione di oltre il nove per cento della forza lavoro”. Il crollo però si dimezzerebbe “se il tasso di partecipazione femminile convergesse entro i prossimi dieci anni al livello medio della Ue del 2022, contenendo la flessione delle forze di lavoro a poco più di un milione a fronte degli oltre due milioni previsti”.
Leggi anche – Imprese femminili, in Sicilia sono il 24 per cento. Agricoltura e turismo i settori più scelti
Le politiche da perseguire
Anche questa proiezione, sottolinea Svimez, è influenzata dalle divisioni territoriali. Secondo Istat “la flessione al 2040 del 16 per cento per la popolazione di età compresa tra 15 e 64 anni risulterebbe da un calo del 21,8 per cento nel Mezzogiorno (circa 2,8 milioni di persone) e del 13,1 per cento nel Centro-Nord (circa 3,2 milioni)”. Nel Sud e nelle Isole il calo demografico produrrebbe una riduzione della forza lavoro “intorno a un milione di persone, dagli attuali sette milioni a poco più sei milioni di persone”. Anche in questo caso, se il tasso di partecipazione femminile venisse equilibrato, “la forza lavoro meridionale rimarrebbe sostanzialmente sui livelli attuali (circa 6,5 milioni) nonostante il forte calo demografico”. Per questo, conclude l’associazione, è importante rilanciare il tema dell’occupazione femminile in Italia, “rafforzando i servizi per l’infanzia e le infrastrutture scolastiche, favorendo una distribuzione più equilibrata tra generi delle attività di cura della famiglia e facilitando la conciliazione dei tempi di vita e lavoro”.