Il peso delle infrastrutture, soprattutto dei porti, e soprattutto di infrastrutture connesse e interconnesse, grava molto sullo sviluppo del Pil della Sicilia che dunque rimane marginale e tante volte fanalino di coda. Lo si sottolinea negli ultimi studi sull’insularità intitolati “An empirical take on the economic effects of insularity: the Italian regional” e “Insularity and international trade: The case of Sicily”. Marcati Unict, da pochi giorni sono stati presentatati nel corso dei lavori della Sieds (Società Italiana di Economia Demografia e Statistica), che si sono tenuti alla Lumsa di Palermo. Studi multidisciplinari che guardano al Pil quanto alle infrastrutture per cercare di inquadrare e quantificare il più possibile il problema. Ne abbiamo parlato con il docente che ha coordinato le ricerche Unict, Benedetto Torrisi, associato di statistica economica dell’università di Catania.
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Incapacità di essere competitivi
La Sicilia è lontana dai grandi mercati. Lo è sia geograficamente che dal punto di vista strutturale e quindi anche economico. Secondo l’indagine della Regione Siciliana si quantifica in sei miliardi l’anno il costo dell’essere isola. La comunità scientifica, come riferisce il professore Torrisi, è divisa sul tema e “c’è chi la considera un vantaggio e chi uno svantaggio”. La comunità, comunque, non si divide quando si guarda all’aspetto economico e come dice il docente, lo considera “uno svantaggio sotto il piano del rapporto dell’attività commerciale, quindi del risvolto economico, che per l’isola diventa un disvalore”. Nelle ricerche Unict questo disvalore si concretizza nella maggiorazione dei costi di importazione delle materie prime e esportazione dei lavorati riducendo quindi la capacità competitiva. Anche l’Unione europea, nella stima degli indicatori European regional competitive index, sottolinea che “laddove le regioni sono marginali i costi aumentano decisamente”. Non solo. “Quando viene meno una connettività in termini di continuità territoriale questo svantaggio aumenta decisamente. Ed è questo proprio il caso di regioni come la Sicilia, la Sardegna o la Corsica”.

Distanze e infrastrutture: il ruolo dei porti
Due sono gli aspetti principali indagati dagli studi di Unict: l’incidenza della distanza e delle esportazioni sul Pil. “Queste variabili risultano entrambe statisticamente significative ma se legate ai temi di efficienza e innovazione del territorio questi indicatori diventano ancora più rappresentativi”. Elementi fondamentali che sono solo il primo passo delle analisi perché negli step successivi “si vorrà determinare il peso in termini economici che tutto questo può generare”. Accanto a distanza ed esportazioni, secondo i ricercatori, vanno inserite anche le infrastrutture e per la Sicilia in particolare, i porti. “L’incidenza che i porti hanno sulle esportazioni risulta molto più significativa di quanto risultano le infrastrutture stradali e ferroviarie” dice Torrisi. Insomma, con le stime empiriche dei nuovi studi si vuole sottolineare che se un investimento prioritario deve esserci i porti sono il target giusto. Senza dimenticare però efficienza, innovazione e completamento della continuità territoriale “senza la quale il ruolo delle infrastrutture stradali e ferroviarie risulta meno significativo rispetto alle altre regioni”. Tutto questo ha riflesso sulla ricchezza del territorio e dunque degli abitanti dello stesso nonché del suo sviluppo e della capacità di attrarre investimenti.
Il compito della politica
Sarebbe compito della politica studiare queste indagini per sapere dove agire per appianare gli svantaggi, ma non sempre ciò che viene studiato o detto poi si concretizza. “Nella chiave di lettura del processo di trasformazione delle nostre regioni sembra esserci un elemento chiave per cui il Sud Italia debba rimanere sopito”. Eppure è anche “obiettivo 2030 ridurre queste dismetrie tra diverse regioni europee in termini di svantaggio inteso come capacità di Pil, di produrre ricchezza, di equivalere il reddito pro capite, capacità di essere sullo stesso piano della competitività globale”. Belle parole che tante volte non si traducono in fatti. Anche la Costituzione italiana, all’articolo 119, individua l’insularità come peculiarità di svantaggio e pertanto andrebbe accolta e superata. È come se lo Stato elargisse mollichine invece di un ben tozzo di pane. Così facendo la fame non viene placata mai. Il dibattito in tale senso è molto ampio sia a livello giurisprudenziale che economico. Secondo il professore Benedetto Torrisi l’obiettivo della Sicilia è quello di fare inserire l’emergenza come caratteristica dell’azione nell’isola. “È fattibile – dice il docente – un po’ come è stato fatto per il ponte di Genova. Se passasse questo messaggio, investire in Sicilia diventerebbe la panacea per molti che fanno impresa. Evidentemente c’è una componente alla quale sta scomodo questo passaggio e non si vuole adeguatamente investire in un processo di crescita virtuoso per la Sicilia”.
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Il team
Il progetto di Unict con i due filoni di ricerca è stato battezzato Nemo, ovvero nessun uomo è un’isola. È un progetto del dipartimento di Economia e impresa il cui responsabile è il professore Benedetto Torrisi, “ma per cui è fondamentale l’apporto avuto dai colleghi Marina Cavalieri, Lucio Siviero, Gianpiero Torrisi, Marcella Rizzo, a cui si aggiunge, grazie al finanziamento avuto dall’ateneo con il progetto Piaceri, a collaborazioni con i ricercatori Daniela Di Pasquale, Giuseppe Pernagallo e Salvatore Scuderi”. Tra breve il team sarà anche ampliato a degli aziendalisti “proprio con lo scopo, nello step successivo, di dare voce e quantificazione al costo supportato dalle aziende siciliane in termini di import ed export”.