Gli stipendi degli italiani sono “sotto ai livelli del 2009”. Inoltre l’economia italiana nei prossimi mesi “resterà in una fase di debolezza“. La crisi proseguirà verso “un probabile ampliamento delle differenze strutturali tra Nord e Mezzogiorno“. Con il Sud del Paese che perderà oltre 3 milioni di abitanti entro il 2050. Questo, in estrema sintesi, quanto esposto dal presidente facente funzione dell’Istat Francesco Maria Chelli, ieri in audizione sulla Nota di Aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 (Nadef).
Gli stipendi reali 12 punti in meno rispetto all’inflazione
Secondo quanto si legge nella relazione di Istat tra il 2009 e il 2021 le retribuzioni contrattuali hanno fatto registrare una crescita in linea con quella dell’inflazione e di poco superiore a quella dell’”IPCA-NEI”, ovvero l’indice dei prezzi al consumo armonizzato con i paesi europei e depurato dai beni energetici importati. Tutto cambia però nel 2022: la straordinaria crescita dei prezzi (più 8,7 per cento) ha fatto sì che le retribuzioni contrattuali in termini reali siano “tornate al di sotto dei livelli del 2009, anche per il comparto industriale che, rispetto agli altri settori, continua a presentare una buona tempestività nei rinnovi”. Secondo i calcoli di Istat, la differenza tra la crescita dell’inflazione e quella delle retribuzioni contrattuali sull’intero periodo (2009-2023) sarebbe pari a 12 punti percentuali, passando dai 4,1 punti per l’agricoltura e 4,7 punti per l’industria, ai 13,6 punti per i servizi privati. Il settore con la differenza in negativo maggiore è però quello della pubblica amministrazione, che tocca i 19,5 punti. Si tratta di una conseguenza del blocco della contrattazione e delle retribuzioni varato nel 2010 che ha determinato il mancato rinnovo per i trienni 2010-2012 e 2013-2015.
Rallenta l’inflazione, nonostante il caro carburanti
Il quadro è solo parzialmente mitigato dal rallentamento dell’inflazione. Secondo le stime provvisorie di settembre la variazione tendenziale dell’Indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale (NIC) è stata del 5,3 per cento, in lieve calo rispetto al mese precedente (5,4 per cento). Il dato sintetizza un diffuso rallentamento della crescita dei prezzi, particolarmente marcato per i beni alimentari (da più 9,7 a più 8,6 per cento) e per i beni durevoli (ad esempio i grandi elettrodomestici) che passano da più 4,6 per cento a più 4 per cento. Uniche accelerazioni nei listini degli energetici non regolamentati (da 5,7 a 7,6 per cento) e dei servizi relativi ai trasporti (da più 1,2 a più 3,8 per cento), entrambi collegati all’aumento dei prezzi dei carburanti.
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Il Sud perderà 3,6 milioni di abitanti entro il 2050
Quello presentato da Istat è un quadro che diventa allarmante se si considerano alcune dinamiche non solo economiche, ma anche demografiche. Secondo i vari “scenari” riassunti da Chelli, quello “mediano” prevede che in Italia si passerà da 59 milioni di abitanti calcolati con l’ultimo censimento (al 1 gennaio 2022) a 58,1 milioni nel 2030, a 54,4 milioni nel 2050 fino a 45,8 milioni nel 2080. E a soffrire di più la diminuzione di popolazione sarà il Sud, confermando una tendenza già in atto: la Sicilia ha perso 170 mila abitanti dal 2012 al 2022. Secondo lo “scenario” di Istat, la popolazione del Nord potrebbe ridursi di 276mila unità entro il 2050 (da 27,4 a 27,1 milioni). Il Mezzogiorno potrebbe invece perdere 3,6 milioni di abitanti entro il 2050, passando da 19,9 a 16,3 milioni.
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Aumentano età media e immigrati. Ma non basta
Secondo quanto spiegato da Chelli, non c’è una soluzione applicabile in tempo. “Anche negli scenari più favorevoli – spiega il presidente facente funzione di Istat – si riuscirà a riportare in equilibrio l’attuale distanza tra nascite e decessi. L’aumento dei livelli riproduttivi medi, infatti, non potrà produrre un parallelo aumento dei nati, a causa della diminuzione sempre più significativa delle donne in età fertile, che rappresentano il potenziale riproduttivo del Paese”. Secondo Istat l’evoluzione della mortalità arriverà a un picco di 845mila nel 2059, sempre secondo lo “scenario mediano”. Il tutto anche in un contesto di buone aspettative sull’evoluzione della speranza di vita (86,1 e 89,7 anni quella prevista alla nascita nel 2080, rispettivamente per uomini e donne, con un guadagno di 5,7 anni per i primi e di 5,2 anni per le seconde sul 2022). E i flussi migratori “non controbilanceranno il segno negativo della dinamica naturale”.