Il mercato della frutta secca siciliana, un classico delle tavole natalizie dentro e fuori dall’Isola, è in crisi. La causa è la concorrenza del prodotto estero e l’aumento incontrollato dei costi di produzione, che sta portando molti coltivatori a lasciare i frutti sugli alberi. “Tra i rincari dell’energia, dei carburanti e dei fertilizzanti, produrre costa fino a dieci volte di più dell’anno scorso, mentre i prezzi di vendita sul mercato restano fermi. A queste condizioni, raccogliere non conviene più”, spiega a FocuSicilia Ignazio Vassallo, agronomo e responsabile del Coordinamento nazionale della frutta in guscio. Il settore in Sicilia vale “circa 140 milioni di euro”, ma gli spazi di mercato sono sempre più stretti perché “la qualità non riesce a battere la quantità”. Per Vassallo la frutta secca locale non teme confronti. “In particolare le mandorle e i pistacchi sono migliori dal punto di vista del gusto e della salubrità, ma vengono soppiantati dalle produzioni intensive americane”. Un problema che non riguarda solo la Sicilia ma “anche Spagna e Australia, grandi produttori di frutta a guscio che sono in forte difficoltà”.
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I numeri del settore
Secondo gli ultimi dati forniti da Vassallo – che è stato dirigente dell’assessorato regionale all’Agricoltura fino al 2019 – la produzione di frutta secca nell’Isola copre una superficie di 76 mila ettari, con una raccolta di circa 1,3 milioni di quintali. La “fetta” più consistente è rappresentata dalle mandorle, con oltre 47 mila ettari coltivati (principalmente tra Siracusa e Agrigento) e una produzione annua di 762 mila quintali, per un fatturato di 115 milioni di euro. Segue il pistacchio, con 3.665 ettari coltivati e una produzione di circa 27 mila quintali, per un fatturato di 22 milioni. Per il nocciolo la superficie è più ampia, oltre 16 mila ettari, con una produzione di 188 mila quintali, ma il fatturato si ferma a due milioni per il basso prezzo di vendita. È classificato come frutta secca anche il carrubo, che conta una superficie di quasi novemila ettari coltivati e una produzione di 314 mila quintali, per un fatturato di un milione. Nell’Isola, infine, si conta una piccola produzione di noci, con 170 ettari coltivati e 2.250 quintali raccolti, per un fatturato di un milione.
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Rischi per i consumatori
La maggior parte delle coltivazioni dell’Isola, spiega Vassallo, è in regime di agricoltura biologica. “Questo naturalmente aumenta i costi, visto che non possiamo utilizzare antiparassitari chimici ma soltanto naturali. Un’attenzione che rende il nostro prodotto molto superiore a quello estero in termini di qualità”. L’agronomo fa l’esempio delle mandorle. “Quelle americane hanno una resa molto alta, che arriva anche al 50 per cento una volta rimosso il mallo. Le nostre, invece, sono più piccole, e hanno una resa tra il 25 e il 30 per cento”. La produzione intensiva, avverte Vassallo, può avere conseguenze anche sulla salute. “In America si annaffia e si raccoglie meccanicamente, quindi il frutto è più esposto a parassiti che possono essere nocivi anche per l’uomo”. In particolare le mandorle possono essere attaccati da una tipologia di funghi, “gli ascomiceti, che a loro volta producono tossine che se assunte il larga quantità possono essere cancerogene”.
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Milioni di api morte
Di fronte a questo pericolo, sostiene Vassallo, la risposta delle istituzioni è stata evasiva. “L’Unione europea si è limitata a innalzare la soglia di tossine consentita, un po’ come si faceva un tempo con l’arsenico presente negli acquedotti pubblici”. Altro serio problema delle coltivazioni intensive americane è l’impatto ambientale. “Si stima che i pesticidi utilizzati nelle coltivazioni di mandorle californiane, lo scorso anno, abbiano causato la morte di trenta milioni di api”. Un problema per l’ecosistema naturale e produttivo globale, “visto che senza le api non può avvenire l’impollinazione, con la perdita di interi raccolti”. Per il Coordinamento nazionale della frutta in guscio, l’unica soluzione a questa deriva è incrementare la consapevolezza dei consumatori. “In Sicilia e in Italia disponiamo di una produzione unica, ammirata nel mondo per il gusto e le proprietà naturali. È assurdo che siamo costretti a lasciarla marcire sugli alberi”, conclude Vassallo.