Lavoro: al Sud cresce più che al Nord ma è povero e precario. I dati Svimez

L’economia italiana nel 2023 crescerà del1,1 per cento. Maal Sud l’aumento del Prodotto interno lordosarà più basso,fermandosi allo 0,9 per cento. Cresce anche il lavoro e al Sud più che al Nord. Lo scriveSvimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno che ieri ha presentato le anticipazioni del suo rapporto annuale con leprevisioni economiche per il periodo 2023-2025. Secondo Svimez i dati risicati della crescita non sono però da leggere in negativo: il Mezzogiorno d’Italia resta collegato al resto del Paese, e l’occupazione è in crescita. Anche se non mancano gravi criticità soprattutto per il lavoro precario e “povero”. Lacrescita del Pilsegnerà per l’anno in corso unaleggera differenza tra il Sud (più 0,9 per cento) e il Centro-Nord (più 1,2 per cento). Tra le Regioni, il dato previsionale per laSiciliasi mostra perfettamente in linea con quello del resto del Mezzogiorno (più 0,9 per cento), conla Campania migliore regione nell’areaSudche raggiunge la media italiana del1,1 per cento, mentre laBasilicata si ferma a un più 0,6 per cento, il dato peggiore in Italia. A livello nazionale è invecela Toscana (più 1,6 per cento)che mostrerà la crescita migliore.Nel 2024-2025 il divario di crescita tra Nord e Sud dovrebbe mantenersi contenuto. Nel2024ilSudsarà in crescita complessivamente del1 per cento e il Centro-Nord del 1,5 per cento, mentre per il2025la “forbice” sarà ancora meno ampia (1,3 per cento di crescita al Centro-Nord contro l’1 per cento del Sud). Le previsioni tengono conto degli effetti di una stretta monetaria operata dallaBanca Centrale Europea, che hagià evidenziato i suoi effetti sul mercato immobiliaree potrebbe avere un impatto negativo sulla dinamica globale del Pil nel triennio 2023-2025. E, come di consueto, con conseguenze più intense al Sud rispetto al Centro-Nord. La ripresa dell’occupazione nel Mezzogiorno è stata positiva: tra il primo trimestre del 2021 (durante il quale si è raggiunto il picco negativo dell’occupazione) e il primo trimestre del 2023 (l’ultimo per il quale sono disponibili i dati di interesse), l’occupazione è cresciutaa livello nazionale del 6,5 per cento(più 1,4 milioni di occupati) e del7,7 per cento nelle regioni del Mezzogiorno(+442 mila occupati). Per la prima volta dopo molti anni ècresciuta anche la componente a tempo indeterminato, soprattuttoal Sud(più 310 mila unità, più 9 per cento rispetto al più 5,5 per cento del Centro-Nord). L’aumento dell’occupazione segnapiù 22 milaoccupati rispetto al periodo pre-Covid nel Mezzogiorno, ma i posti di lavoro rimangonoinferiori ai livelli del 2008 di circa 300 mila unità. Nonostante un divario che Svimez sottolinea come “meno marcato” tra Nord e Sud d’Italia rispetto alle precedenti rilevazioni, restano peròirrisolti i problemi legati al lavoro povero e ai bassi salari. I dati di fonteOcsecitati da Svimez nel rapporto evidenziano una generalizzata come i salari reali italiani abbiano subito una contrazione ancor più pronunciata che nel resto dei Paesi aderenti (meno 7,5 per cento contro il meno 2,2 per cento della media Ocse). In Italia, laperdita di potere d’acquisto ha interessato soprattutto il Mezzogiorno(meno 8,4 per cento) per effetto della più sostenuta dinamica dei prezzi che ha visto le regioni del Sud, e in particolare la Sicilia, come “regioni record” degli aumenti nel corso del 2022. Il quadro è aggravato dalla quota dioccupati a terminesul totale dei dipendenti è pari al22,9 per cento al Sud contro il 14,7 per cento del Centro-Nord. A Sud quasi un lavoratore a termine su quattro si trova in questa condizioneda più di cinque anni. Dati che contribuiscono a una stima fatta da Svimez prendendo a riferimento laquota ipotetica del salario minimo, ovvero 9 euro lordi l’ora: risultano circa3 milioni di lavoratori al di sotto dei 9 euro in Italia, pari al 17,2 per cento del totale dei lavoratori dipendenti, esclusa la Pubblica amministrazione. Fra questi1 milione sono nel Mezzogiorno, il 25,1 per cento degli occupati dipendenti. Circa 2 milioni nelle regioni del Centro-Nord, ma nell’area per il maggior numero di occupati questi rappresentano solo il 15,9 per cento del totale dei dipendenti.