Lavoro: le donne rischiano di più. “Serve un nuovo modello”

Le misure per il sostegno alle famiglie non sono sufficienti: “nella stragrande maggioranza si deciderà di sacrificare il reddito più basso tra i due coniugi, tipicamente quello femminile, per stare a casa e occuparsi dei bambini”. È l’allarme lanciato dalla Uil che, conti alla mano, prevede un introito di meno di 600 euro tra congedo parentale e assegno mensile per i figli. Un dato che non è solo economico, ma ha influenza sul benessere psichico dei lavoratori. E non solo donne. Come afferma a FocuSicilia la docente di psicologia del lavoro all’università Kore di Enna, Tiziana Ramaci, “i problemi riguardano per tutti” pertanto “va pensato un nuovo modello”. Il sindacato non ha dubbi. A pagare il prezzo più alto tra uomini e donne saranno quest’ultime. Il motivo è il dover conciliare le esigenze familiari con quelle lavorative. E poiché, in generale, guadagnano meno e sono più precarie, saranno loro che “rischiano oggi la propria autonomia finanziaria e persino il proprio posto di lavoro”. Un ragionamento fatto a partire dai numeri. Per chi aveva uno stipendio lordo di 1.400 euro, il congedo parentale ammonta a 388 euro. Cifra che si riduce a “225 euro per chi ha un part-time a 20 ore settimanali e poco più di 300 per un part-time a 30 ore”. Se si aggiunge “l’ipotetico assegno mensile, per le famiglie con un figlio” che va dai 120 ai 160 euro, a seconda dell’Isee, “arriviamo a un massimo di 548 euro”. Leggi anche –Più istruite, meno retribuite: non è una regione per donne La situazione delle donne è in realtà quella di tutti i precari, a prescindere da sesso ed età. Una condizione che di per sé ha degli importanti impatti psicologici e che oggi, con la crisi economica scatenata dalla diffusione del Covid-19, si evidenzia ancora di più. Ecco perché secondo Tiziana Ramaci “dobbiamo cogliere l’occasione per cambiare le cose e pensare a politiche che distribuiscano il lavoro, dando strumenti invece che assistenza”. Il problema non è solo economico. Accanto vanno considerate le tutele e in generale “il lavoro equo e dignitoso”. Elementi che il lavoro precario non ha o ha solo in parte. Se ne parla “ed uno degli obiettivi dello sviluppo sostenibile, c’è anche un accordo Inail-Cnop, per uno sportello d’ascolto che rappresenta un primo passo”. La strada da percorrere, però, è ancora lunga. La chiave di volta, secondo la docente, è un nuovo modello di riferimento: “non bisogna ragionare nell’ottica di tanti elementi singoli, ma integrata”. L’impatto psicologico di logoramento e frustrazione è importante e dura a lungo. Inoltre un lavoratore stressato è anche meno produttivo. “Condividere l’esperienza aiuta, ma il problema c’è ed è grosso. Va affrontato subito”.