Il suono sembra il ribollire crescente di una moka, ma si tratta dell’Etna: i ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Catania hanno catturato i segnali infrasonici del vulcano – suoni a bassa frequenza non udibili dall’uomo – e li hanno elaborati. I segnali annunciano, già 24 ore prima, la risalita del magma dal condotto, che risuona come una canna d’organo, fino ad esplodere nelle spettacolari fontane di lava visibili da tutti. L’episodio risale al 20 febbraio 2021 e ha dato origine a uno studio, condotto da un team internazionale cui appartengono Mariangela Sciotto, Massimo Cantarero ed Emanuela De Beni dell’Ingv e Andrea Cannata dell’Università di Catania, pubblicato ieri su Scientific Reports. “Questi segnali li monitoriamo da tantissimi anni – spiega De Beni, dal 2005 in forza all’Ingv di Catania – ma affinché ci sia il fenomeno di risonanza si devono soddisfare certe caratteristiche peculiari all’interno del condotto. Monitorando l’infrasuono abbiamo notato questo fenomeno e in base alla variazione si stabilisce la velocità di risalita”.
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L’effetto canna d’organo è un fenomeno ripetibile
Quello della risonanza è un fenomeno ripetibile, ma non sistematicamente. Come ricostruisce la ricercatrice Ingv, riferendosi al 20 febbraio 2021, “prima di questa fontana ce n’erano state due o tre, molto energetiche e che avevano emesso una grande quantià di magma. Probabilmente il condotto era vuoto e questo ha fatto sì che ci potesse essere la risonanza, come non c’è stata nelle fontane successive. Durante l’attività il magma nel condotto è più alto, poi si svuota. Se il condotto, quindi, fosse nuovamente vuoto, il fenomeno si potrebbe ripetere”. Una concomitanza di eventi deve quindi verificarsi per determinare l’effetto canna d’organo, rilevabile dalla rete di sensori dell’infrasonico che sono dislocati intorno all’Etna: “Abbiamo nove stazioni, un paio all’altezza della strada che circumnaviga i crateri, intorno ai tre mila metri, maggiormente sensibili ma anche più disturbate, altre posizionate via via a più bassa quota”, spiega De Beni.

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Una ricostruzione in 3D realizzata con i droni
Lo studio è iniziato nel 2021 e i ricercatori hanno potuto contare anche su una ricostruzione tridimensionale di dettaglio del cratere di Sud-est, fatta con l’uso dei droni. “Grazie a questo – aggiunge De Beni – abbiamo potuto fare un’analisi correlata della geometria del cratere e di come l’infrasuono si propaga all’interno del condotto. È una novità di questo lavoro, perché sono stati ricostruiti in 3D il cratere di Sud-est fino all’imbocco del condotto”. Al momento, le condizioni sono di quiete: “Attualmente possiamo dire – riconosce la ricercatrice – che i condotti non saranno pieni, non c’è attività, alla Bocca nuova c’è attività di degassamento intensa e si sentono boati, però non viene emesso alcun tipo di prodotto, quindi il magma non arriva alla superficie. Se dovesse esserci un nuovo apporto dal profondo, il magma salirebbe e potremmo aspettarci un’eruzione”. I vulcanologi, però, non si avventurano in previsioni. “Quello che possiamo fare – riconosce De Boni – è analizzare tutti i segnali che monitoriamo 24 ore su 24, come infrasonico, tremore, rete Gps, che ci indicano se ci sono delle risalite di magma nel profondo”.
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Traffico aereo, cenere vulcanica e segnali precursori
Esistono tuttavia delle aree del vulcano, denominate “Rist”, dove preferibilmente c’è risalita di magma. “Sull’Etna – spiega De Boni – sono quella di Sud, dove con più frequenza risale magma e si aprono fessure eruttive che danno luogo a colate; quella di Nord-est dove possono accadere eruzioni laterali e quella di Ovest, la meno attiva, dove l’ultima eruzione risale al 1974. Lo sappiamo perché abbiamo studiato il vulcano nella sua evoluzione geologica, che è durata 500 mila anni. Abbiamo quindi un record di dati che ci permette di dire quali sono le zone dove più probabilmente si avrà un’eruzione”. L’Ingv precisa che “sebbene le colate accompagnate alle fontane non abbiano grande impatto sulle infrastrutture al suolo, data anche l’altitudine alla quale si verificano, questi parossismi producono nubi di cenere alte anche oltre 10 chilometri, che determinano ingenti disagi sia al traffico aereo sia ai paesi etnei a causa della cenere che depositano”. Per questo diventa utile ogni strumento con cui identificare segnali precursori delle eruzioni che siano legati alla risalita del magma.