L’intelligenza artificiale sta cambiando il mercato del lavoro, nel mondo, in Italia ed in Sicilia. La rivoluzione è già qui, e interesserà 8,4 milioni di italiani. Oltre un terzo di tutti gli occupati dovrà cambiare almeno in parte il proprio modo di lavorare. Maggiormente interessate le professioni di natura intellettuale, ma non solo. Di fronte a questi numeri, e alla portata delle loro conseguenze, in Italia e in Sicilia non si stanno mettendo in campo investimenti adeguati per fronteggiare il cambiamento. Questo è ciò che emerge dai dati pubblicati da Confartigianato Studi. Basti pensare che, a livello nazionale, attualmente la percentuale delle Pmi che usa sistemi basati sull’IA è il 5,3 per cento del totale. Inoltre soltanto il 13 per cento di tutte le piccole e medie imprese italiane dichiara di voler investire nelle applicazioni di questa nuova tecnologia nel prossimo futuro. In Sicilia la situazione è, se possibile, ancora più distante dalla nuova rivoluzione in atto.
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La situazione in Sicilia
Secondo l’elaborazione flash “Intelligenza artificiale e rischio automazione: impatto su lavoro e imprese” pubblicata dall’Ufficio di Confartigianato Studi in collaborazione con l’Osservatorio MPI di Confartigianato Lombardia la Sicilia è ultima regione in Italia per livello di investimenti delle Pmi nell’Ia. Per contro la regione si trova settima su venti nella classifica nazionale sulla quota di entrate economiche esposte all’impatto dell’intelligenza artificiale.
In altre parole, nonostante la Sicilia sia una delle regioni più soggette al cambiamento che potrebbe portare l’IA, non si stanno facendo gli investimenti necessari.
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L’IA in Italia e in Europa
In Italia il 36,2 per cento del totale degli occupati subirà l’impatto delle trasformazioni tecnologiche portate dalla nuova tecnologia basata sull’intelligenza artificiale. Una percentuale inferiore di 3,2 punti rispetto al 39,5 per cento della media europea di lavoratori maggiormente esposti all’IA. Stanno peggio di noi Germania e Francia rispettivamente al 43 per cento e al 41,4 per cento di lavoratori in bilico e il Lussemburgo con addirittura il 59,4 per cento, seguito da Belgio al 48,8 per cento e Svezia al 48 per cento.
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Le professioni più a rischio
Le professioni più esposte sono quelle maggiormente qualificate e a contenuto intellettuale e amministrativo. A cominciare dai tecnici dell’informazione e della comunicazione, dirigenti amministrativi e commerciali, specialisti delle scienze commerciali e dell’amministrazione, specialisti in scienze e ingegneria, dirigenti della pubblica amministrazione. Tra le attività lavorative a minor rischio vi sono quelle con una componente manuale non standardizzata.
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Intelligenza artificiale, da pericolo a opportunità
Il rapporto di Confartigianato mette anche in evidenza che l’intelligenza artificiale è – oltre che una potenziale criticità – anche l’arma che alcune imprese stanno sfruttando per ottimizzare le proprie attività. Nello specifico il 6,9 per cento delle Pmi utilizza robot, superando il 4,6 per cento della media europea e doppiando il 3,5 per cento della Germania. “L’intelligenza artificiale – sottolinea il Presidente di Confartigianato Marco Granelli – è un mezzo, non è il fine. Non va temuta, ma va governata dall’intelligenza artigiana per farne uno strumento capace di esaltare la creatività e le competenze, inimitabili, dei nostri imprenditori. Non c’è robot o algoritmo che possano copiare il sapere artigiano e simulare l’anima dei prodotti e dei servizi belli e ben fatti che rendono unico nel mondo il made in Italy”.