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L’olio siciliano è sempre meno: nel 2022 produzione in calo del 40 per cento

Da 27 mila tonnellate di olive raccolte nel 2021 a, forse, 17 mila quest'anno in Sicilia. Un calo che va avanti "da cinque anni", come spiega il presidente della cooperativa Apo Giosué Catania. Per sopravvivere non resta che "puntare sulla qualità". Seguendo l'esempio della Dop Monte Etna

Buono come sempre, anzi ottimo, con le sue “straordinarie qualità organolettiche e nutrizionali”. Ma di olio siciliano ce n’è sempre meno: in questa campagna di raccolta 2022-2023 le stime per l’intera Sicilia sono peggiori di quelle nazionali. “Se in Italia si parla di una riduzione del 30 per cento, qui nell’Isola la media è del 35 – 40 per cento in meno sul 2021-2022. Con punte anche del 60 o 70 per cento in Sicilia Orientale. Nelle province di Agrigento e Trapani il calo è invece intorno al 25 per cento”, spiega Giosué Catania, presidente della società cooperativa Apo che raggruppa circa 1.400 produttori nelle province di Catania, Siracusa e Ragusa, nonché presidente del Consorzio di tutela dell’olio extravergine di oliva Dop Monte Etna. La conseguenza, inevitabile, sarà l’aumento dei prezzi, “con un range compreso tra il 30 e il 40 per cento”, spiega l’esperto. In numeri: se la campagna 2021 dsi è conclusa con circa 27 mila tonnellate di olive raccolte, quella del 2022 potrebbe non arrivare a 17 mila, il dato più basso dalla stagione 2016-2017.

Aumento dei prezzi al consumo

Un litro di olio sfuso, acquistato direttamente in frantoio, arriverà quindi facilmente a superare gli 11 euro al litro, contro i 7-8 euro di un anno fa. Catania assicura: “Abbiamo messo in atto tutto quello che era necessario per avere comunque una raccolta di qualità ottima”. L’olio siciliano è quindi merce sempre più pregiata sul mercato, seguendo un posizionamento già in corso da anni. Con una superfice coltivata a ulivi pari a 159 mila ettari, di cui quasi il 20 per cento in regime biologico (19 mila ettari), ed esistono sei Dop (Monti Iblei, Monte Etna, Valdemone, Val di Mazara, Valle del Belice, Valli trapanesi) e una Igp (Sicilia). Le piante in Sicilia, secondo i dati di Apo, sono 21 milioni e le cultivar autoctone 54.

Produzione in continuo calo da cinque anni

In tutto questo vi è però “una riduzione di quantitativi su una superficie che è circa l’undici per cento del dato nazionale, ed è una tendenza che va avanti da almeno cinque anni”. A testimoniarlo, come detto, la diminuzione della produzione: l’annata record è stata quella della raccolta 2017-2018, con 52.380 tonnellate “ma la produzione è andata sempre calando, siamo poco sopra i livelli del 2016, quando siamo arrivati poco sopra le 13 mila tonnellate”. Tutto causa non di una stagione particolarmente sfortunata “ma delle mutazioni climatiche, con caldo torrido nel periodo delle infiorescenze.

Avanzano i paesi africani, retrocede l’Europa

Nelle zone ventilate colpite dallo Scirocco vi è ormai “un calo del 45 per cento”, ma non è solo la Sicilia ad aver subito la crisi climatica. L’Italia negli ultimi 25 anni “ha perso il sette per cento delle superfici e il 17 per cento della produzione olio. Sono calati di dieci punti percentuali anche i consumi”. E se il maggior produttore nazionale, la Spagna, non è certo in condizioni migliori, con una produzione prevista in calo del 40 per cento, ad avvantaggiarsi della crisi dell’olio europeo sono i paesi africani. “Dagli anni novanta il Marocco ha aumentato la produzione del 44 per cento, la Tunisia del 28 per cento, e la Siria e persino l’Australia sono ormai tra i maggiori produttori”, afferma Catania. Resta, per l’Italia ma soprattutto per la Sicilia “una qualità maggiore, certamente non paragonabile agli oli di questi Paesi che si trovano facilmente nei supermercati, con scarsi profili sensoriali”, afferma l’esperto.

I costi di produzione aumentano

A mettere a rischio le produzioni siciliane non sono però solo le difficili situazioni climatiche, con raccolte minori e qualità che, ribadisce Catania “è eccellente”, ma soprattutto quelle economiche. L’ultimo anno in particolare ha visto aumenti “dal punto di visto della produzione. Sono molto più cari i concimi e i fertilizanti, il gasolio e l’energia elettrica, e sono aumentati anche i costi per l’acqua per irrigare”. Aumentano anche i costi per la molitura: “Portare le olive in frantoio l’anno scorso costava circa 14 o 15 centesimi sull’Etna, tra i 18 e i 20. Nel ragusano siamo arrivati anche a 22 centesimi”. La decisione, per molti produttori, è quindi sempre più spesso quella “di non raccogliere le olive, dato che oltre a quanto detto sono aumentati i costi della manodopera. Sia per potare che per raccogliere le olive avere persone specializzate è sempre più raro”. La meccanizzazione, diffusissima in altri Paesi come la Spagna, permetterebbe di abbattere i costi. Si tratta, spiega Catania, di soluzioni “difficilmente attuabili nelle nostre zone, dove oltre ad essere diffusi i terrazzamenti, gli uliveti sono spesso storici. La nostra caratteristica è anche quella di avere un territorio e un paesaggio da tutelare”, spiega Catania.

La strategia della Dop Etna: puntare sulla qualità

Quel che resta da fare, secondo Catania, è quindi seguire la strada già tracciata dalla Dop Monte Etna: puntare sulla qualità. Nel mese di giugno il nuovo disciplinare per l’olio di Denominazione d’origine protetta che nasce alle pendici del vulcano più alto d’Europa è stato approvato. “Abbiamo attuato – prosegue il presidente della Dop Monte Etna – una modifica della composizione acidica, perché prima il disciplinare non permetteva la certificazione di molti oli del versante etneo, con la speranza che chi non aveva più la certificazione la riottenga. La seconda modifica è stata quella di allargare i territori dal punto di vista amministrativo, che comprende ora un anello attorno al vulcano comprendendo anche la fascia orientale fino a Castiglione e Randazzo”. Al momento la Dop conta 47 produttori iscritti, “più una quindicina tra produttori nuovi che appartengono a questa nuova area allargata. Ancora è presto per vederne i risultati, ma contiamo di arrivare a una produzione Dop certificata tra i 400 e 500 quintali, con la maggior parte derivato dalla nostra cultivar principe, la nocellara dell’Etna”, conclude Giosuè Catania.

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Leandro Perrotta
Leandro Perrotta
Catanese, mai lasciata la vista dell'Etna dal 1984. Dal 2006 scrivo della cronaca cittadina. Sono presidente del Comitato Librino attivo, nella città satellite dove sono cresciuto.

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