Questo momento di incertezza e grande difficoltà per l’emergenza sanitaria che abbiamo attraversato e che ancora oggi lavoratori e le lavoratrici stanno affrontando, può far emergere emozioni e stati d’animo complessi, la cui intensità spesso ci può trovare impreparati. La situazione non è la medesima in tutti i luoghi di lavoro: alcuni vivono, ad oggi, una situazione di relativa tranquillità mentre altri, invece, in prima linea, affrontano la complessità dell’emergenza sanitaria quotidianamente. Per fronteggiare questa emergenza c’è bisogno di aiuto per i lavoratori e soprattutto per i cosiddetti lavoratori fragili (quadro normativo di riferimento al 24 aprile 2020: Protocollo per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus, ove si raccomanda particolare attenzione ai soggetti fragili) i quali necessitano oltre che del supporto dei colleghi e del management anche di un aiuto da parte di un professionista psicologo.
Spesso sono le aziende stesse che, per sostenere il proprio personale, hanno attivato gratuitamente servizi di supporto psicologico, attraverso colloqui individuali a distanza con esperti dei contesti di cura; altre volte sarebbe opportuno rivolgersi, data la gravità con cui si presenta la situazione, ad un professionista esterno alla struttura. Parliamo per esempio dei casi, non rari, di disturbo post traumatico da stress, di operatori che sono stati esposti in prima linea, talvolta anche messi in quarantena, e che al rientro manifestano chiari sintomi di quello che viene appunto definito disturbo post traumatico da stress (DSM-V), e che si presenta: «in conseguenza di un fattore traumatico estremo, in cui la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri». La risposta della persona si può manifestare con diverse fasi: dapprima il lavoratore si prodiga come supporto e sostegno ai colleghi, alla fase successiva caratterizzata da rabbia e aggressività, fino a quella contrassegnata da paura intensa e sentimenti di impotenza o di orrore. Questo stato d’animo può indurre il lavoratore a richiedere uno spostamento di mansione. Il reparto rappresenta il luogo dell’evento traumatico dove ha avuto origine lo stress, lo spazio dei ricordi spiacevoli, che per istinto di conservazione, è portato ad evitare. Talvolta, il lavoratore può arrivare ad abbandonare il posto di lavoro. Tuttavia tale «stato di necessità», non si risolve in una richiesta di aiuto. Il perché la gente trovi difficoltà a rivolgersi ad uno psicologo (o quantomeno non la stessa con cui si rivolge a un medico, un dietista) non solo per superare paure e ansie da coronavirus, ma anche in relazione ad altre circostanze che la vita privata e lavorativa ci presenta, è senza dubbio da ricercarsi nell’azione congiunta di più e differenti forze che rimandano ad un modello culturale, personale; una resistenza legata ai pregiudizi nei confronti della figura dello psicologo – chi è e cosa fa-, che ci induce a «evitarlo».
Lo stereotipo dello psicologo
Scopriamo, allora, perché la psicologia è qualcosa di molto diverso dalla psicologia del senso comune: la capacità basilare di spiegare motivazioni e intenzioni degli altri, dare consigli, capire gli stati d’animo e saper ascoltare. In parole povere ciò che vi aspettate da un amico.
La stragrande maggioranza crede che #lo psicologo cura i matti
Il primo grande stereotipo è legato, senza dubbio, al fatto che per la gente comune l’unica attività dello psicologo sia di tipo clinico (problemi di adattamento, disturbi di comportamento, stati e condizioni di malessere e sofferenza). Potete tranquillizzarvi. Da molti anni esistono «diversi» psicologi con differenti specializzazioni: famiglia, futuro, lavoro. Dagli psicologi, possiamo dunque asserire non ci vanno i matti, ci vanno le persone normali, che pensano di essere «matte»!
La paura più forte è quella #cosa penseranno di me?
Il timore più forte, ma anche il più celato, è quello di venire (poi) associati a quei «matti» che si crede siano i principali destinatari dell’attività dello psicologo (vedi precedente).
Perché dovrei andarci io #psicologo alias disagio
Che lo psicologo si occupi di malessere è indubbio, ma è altresì capace di usare la psicologia positiva per fare stare bene. Per esempio, svolgendo attività di consulenza individuale per la carriera, sia per le persone in cerca di occupazione, che per quelle già occupate che intendono migliorare la loro qualità di vita professionale e personale. Del resto: «Una buona vita, come io la concepisco, è una vita felice»; e se questo non è benessere…
Del resto #lo psicologo è «l’ultima spiaggia»
Molte persone pensano che nel momento in cui dovessero rivolgersi ad uno psicologo, ciò significherebbe ammettere di non essere capace di cavarsela da soli. Invece, accade che «con l’andar del tempo alcune situazioni possono aggravarsi, e troverebbero più facilmente una soluzione agendo in modo tempestivo». La psicologia si occupa non solo di «gestione del danno» ma anche della «prevenzione» del rischio ma soprattutto si occupa della «promozione» della salute: fisica, psicologica e sociale (OMS).
C’è chi teme #e se alla fine mi condiziona i pensieri?
Lo psicologo non può controllare i nostri pensieri, non può condizionare le nostre vite, non può scegliere cosa saremo. Non ha studiato per questo. Ne avrebbe fatto la sua fortuna se così fosse, nonostante oggi il numero degli psicologi italiani sia oggettivamente alto.
Non vado dallo psicologo perché #poi, scopro cose di me che non sapevo
Un’altra resistenza, che genera paura nelle persone, per cui scelgono di non rivolgersi ad uno psicologo, è legata all’idea che questo tirerà fuori elementi inaspettati di noi (lavorando sulle nostre aree: privata e cieca) che potrebbero cambiarci la vita, magari in peggio.
«Vado dallo psicoanalista da 15 anni. Gli concedo un altro anno, poi vado a Lourdes» (Woody Allen) #lo psicologo crea dipendenza
Il compito dello psicologo è di stimolare il naturale processo di ricerca del benessere e guarigione nel rispetto dell’interezza della persona, e dei suoi tempi, al fine di valorizzarne le risorse (spesso inibite) (vedi precedente), svincolandola da certi legami di dipendenza, e non certamente quella di legare a vita i propri clienti.
In definitiva chiariamo che non si può essere «un po’ psicologi» come non si può essere «un po’ medici», «un po’ ingegneri» o «un po’ architetti». Le grandi difficoltà, derivanti dall’emergenza Covid-19, intensificano i nostri stati d’animo. Lo strumento principale che lo psicologo ha a disposizione è la relazione con sé stesso; l’incontro è un prendere consapevolezza e un riconoscimento di tanti aspetti della complessità che ci portiamo dentro, per questo motivo molti temono di andare da uno psicologo, come se di psicologia fosse mai morto qualcuno.