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Perché un italiano su due non vuole il vaccino anti-Covid?

La campagna vaccinale è già iniziata da una settimana. Eppure metà degli italiani nutre dei dubbi. Un'analisi dei risvolti psicologici legati alla (variabile) percezione del rischio

Sebbene l’istituto Superiore di Sanità (Iss) si dichiari preoccupato per la crescente e diffusa percezione degli italiani che la pandemia da Covid-19 sia finita, a seguito dei recenti risultati positivi della prima distribuzione dei vaccini, la protezione vaccinale resta comunque la nostra arma più importante per combattere la pandemia. Giro di boa di una battaglia che continuerà nei prossimi mesi, in cui non si dovranno abbandonare disposizioni e comportamenti.

Reazioni istintive di fronte al rischio

Ma perché, allora, quasi 1 italiano su 2 è sfavorevole o quantomeno scettico di fronte alla possibilità di immunizzarsi contro il Covid-19? L’esitanza vaccinale o atteggiamento di rifiuto, di indecisione, incertezza o dubbio sulle vaccinazioni sembra essere legata alla nostra percezione di pericolo, reazioni che sono del tutto istintive, intuitive, e diverse a seconda delle caratteristiche connesse al rischio. Un concetto probabilistico: con il termine rischio si indica genericamente l’eventualità di subire un danno connessa a circostanze più o meno prevedibili. Il rischio risulta essere una variabile collegata alla frequenza (o probabilità) del verificarsi del danno ed alla grandezza che quest’ultimo può causare. Questa definizione, sebbene riducibile a mera formula matematica, diviene ricca di complessità nel momento in cui si assume che il rischio è, nella realtà comportamentale e quotidiana, una variabile del tutto soggettiva.

I fattori che cambiano la percezione

Alcuni fattori psicologici, o comunque soggettivi, contribuiscono a ridimensionare o a ingigantire il nostro atteggiamento psicologico verso il rischio, primo fra tutti quelli socio-anagrafici. Secondo uno studio condotto sul territorio nazionale dall’Università Cattolica (tra il 12 e il 18 maggio scorsi) – tra i più indecisi verso il vaccino per il Covid-19 vi sono le donne, dati che un po’ sorprendono dal momento che le donne sono, in genere, quelle che nelle famiglie alimentano buoni comportamenti di salute e prevenzione, e i giovani (fino ai 40 anni). La naturale tendenza dei giovani a sentirsi invulnerabili, ma anche disorientati, rappresenterebbe uno dei principali motivi della scelta di non vaccinarsi. Decisamente intenzionati a farlo, invece, gli over 60, che sono anche, poi, i più vulnerabili all’infezione da Covid-19. Sarebbe proprio la preoccupazione di ammalarsi ad impattare sul loro atteggiamento più positivo nei confronti della vaccinazione.  Da altri studi si evince che le persone sposate e con figli tendono ad essere meno coinvolte in comportamenti a rischio, rivelandosi più scettici nei confronti della prevenzione.

Esperienza diretta e momento temporale

Sull’ atteggiamento psicologico verso il rischio agiscono, inoltre, i fattori di conoscenza, emotivi e valoriali che inducono a sovrastimarlo o sottostimarlo. La percezione di pericolosità sembrerebbe aumentare quando un rischio non è familiare, quand’è sconosciuto. Quando sentiamo parlare per la prima volta di un rischio, e non ne sappiamo molto, abbiamo solitamente più paura di quando abbiamo convissuto con lo stesso rischio per un po’. È l’esperienza che ci aiuterebbe a vederlo in una prospettiva differente. L’atteggiamento nei confronti del vaccino e la conseguente decisione di vaccinarsi o meno sono influenzati, altresì, dal momento temporale in cui una situazione viene vissuta: si tendono cioè a sopravvalutare le conseguenze che sono vicine nel tempo rispetto a quelle più distanti (“sconto intertemporale”). Anche gli atteggiamenti valoriali delle persone possono influenzare l’orientamento verso il nuovo vaccino contro Covid-19. Gli “individualisti”, cioè le persone più centrate su di sé, che mettono il bene individuale al primo posto nella loro scala di valori, risultano più esitanti nei confronti del vaccino, al contrario degli “altruisti”, più orientati al bene comune, la cui propensione a vaccinarsi è più accentuata.

I fattori emotivi

Infine, la percezione di un evento rischioso (o meno) appare determinata anche da una serie complessa di fattori emotivi. Fattori come, ad esempio, la paura, tendono ad amplificare la valutazione delle conseguenze degli eventi rischiosi, (esitanza vaccinale), mentre la rabbia può ridurre sensibilmente la percezione del rischio, inducendo a percezioni alterate nella valutazione di rischi e pericoli (disponibilità a vaccinarsi). Chi riporta stati di depressione o sintomi ansiosi esprime maggiori dubbi verso la prevenzione vaccinale. Ancora una volta questo conferma che non è tanto la situazione epidemiologica in sé a incidere sull’ atteggiamento di sfiducia di fronte alla possibilità di immunizzarsi contro il Covid-19.

L’obbligatorietà non risolve il problema

Ne tantomeno risolverebbe il problema parlare di obbligatorietà del vaccino, o di limitazioni rispetto ad alcune attività per chi non è vaccinato, come suggerito in queste ultime ore dall’assessore regionale alla Salute, anzi, lo aggraverebbe, perché porterebbe a uno scontro ideologico nel paese. Ad intervenire fortemente nei confronti dell’esitanza vaccinale concorrono fattori di natura psicologica e personale. Rappresentano il punto di partenza per una riflessione più ampia, a partire da un nuovo modo di intendere il dialogo tra scienza, istituzioni e cittadini, e che coinvolge tanto il sistema sanitario quanto chi è chiamato a prendere decisioni politiche. Fiduciosi che produca risultati migliori, meglio pensare a una seria campagna di informazione e sensibilizzazione sulla consapevolezza individuale e sociale della prevenzione vaccinale.

Tiziana Ramaci
Tiziana Ramaci
Professore Associato di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l'Università degli Studi di Enna "Kore". I suoi interessi di ricerca si concentrano prevalentemente sulla Psicologia della salute occupazionale e promozione della sicurezza negli ambienti di lavoro. Lavora costantemente sui temi dell’orientamento professionale e delle carriere internazionali. È membro dell’International Commission on Occupatinal Health - ICOH; Commission Internationale de la Slaute au Travail – CIST;

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