“Nel 1997 in Sicilia si contavano 3.300 pescherecci, oggi siamo 2.100. La flotta si è quasi dimezzata senza un ricambio generazionale”. Queste le parole di Giovanni Lo Coco, presidente nazionale dell’associazione Principesca e rappresentante della consulta regionale della pesca. Il settore in Sicilia non naviga in buone acque, nonostante secondo i dati Istat aggiornati al 2019 sia la prima regione italiana per pescato, con quasi 33 mila tonnellate all’anno, quasi il 19 per cento del dato nazionale, e un ricavato che supera i 220 milioni di euro, il 25 per cento del totale. “Oggi in media – prosegue Lo Coco – lavoriamo non più di 130-140 giorni l’anno. Una situazione capovolta rispetto a due decenni fa. Dal primo gennaio ad oggi contiamo solo 58 giorni di pescato”.
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Inquinamento fuori controllo
“Abbiamo un calo enorme di fatturato. Negli ultimi 30 anni è diminuito del 60 per cento. Le acque sono troppo calde e piene di plastica. Noi, con lo strascico, facciamo un po’ di pulizia – aggiunge Lo Coco – A Porticello, una delle più grandi marinerie, non esiste un servizio che va ad applicare la legge Salvamare“. Si tratta della norma, introdotta nel maggio 2022, che contiene le “disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell’economia circolare”, e che la realizzazione di sistemi di intercettazione e cattura di rifiuti in plastica galleggianti. Secondo Lo Coco è problema “diffuso in tutte le 31 marinerie siciliane. A San Vito Lo Capo, a una profondità di 60 metri e a distanza dalla costa, c’è uno sbocco a mare dove fuoriesce di tutto. Ciò avviene anche in molti altri porti”. Per Lo Coco, l’isola è leader grazie alle sue marinerie, ma soffre l’eccessiva concentrazione delle imprese della trasformazione e non riesce a sostenere con il prodotto locale le richieste della grande distribuzione, il risultato è che il pesce che finisce in tavola, spesso, viene da fuori e senza traccia di provenienza e controlli.
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Problemi da Covid, rincari energetici e impianti eolici
Dal 2019 si sono succedute annate particolarmente complesse. Prima il Covid-19, adesso i rincari energetici. E per i pescatori non c’è pace anche per limitati dati da regole europee e burocratiche sempre più restrittive, come il “Marine Action Plan”, per il quale da qui al 2030 i pescatori italiani potrebbero perdere il diritto di gettare le reti a strascico su oltre due milioni di ettari di mare. A ciò si aggiungono l’interferenza delle trivelle per i pozzi petroliferi, e dei parchi eolici off shore: secondo una ricerca che prende in considerazione oltre 200 lavori scientifici, condotta dall’ecologo Francesco Andaloro, il grande impianto eolico off-shore previsto al largo delle isole Egadi “rischierebbe di sottrarre il 50 per cento della produzione alle 139 imbarcazioni a strascico e alle 18 a grandi pelagici delle flotte che operano nell’area, quelle di Mazara del Vallo, Marsala, Trapani e delle stesse isole Egadi”.
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Vita del mare stravolta dai cambiamenti climatici
Al quadro si aggiunge il cambiamento climatico. Le temperature sopra i limiti stagionali hanno modificato la vita dei pesci. Secondo il rapporto annuale su Pesca e acquacoltura, realizzato dall’Osservatorio sulla pesca del Mediterraneo con il sostegno della Regione siciliana, Tra il 1998 e il 2013 la temperatura “è aumentata da circa 14 a 14,5 gradi centigradi”, e nel 2018 è stato registrato “un ulteriore aumento fino a raggiungere il picco di 14,8 gradi”. Una condizione che ha portato nei mari siciliani la presenza di molte specie aliene. “L’anno scorso – prosegue Lo Coco – abbiamo pescato il granchio blu, specie tipica del Canada. A giugno vicino le coste africane abbiamo notato il gambero rosso in superficie, solitamente vive a circa 600-700 metri di profondità. Bisogna intervenire subito sugli scarichi a mare. Da lì finisce in mare qualsiasi tipo di materiale”, conclude il presidente nazionale dell’associazione Principesca.