La chiusura della raffineria Lukoil di Priolo “scatenerebbe una disoccupazione devastante”. Per tutte le aziende dell’indotto, ma soprattutto “per il porto di Augusta, che tratta per il 90 per cento prodotti petroliferi”. Marina Noè, imprenditrice nel settore della cantieristica navale e presidente di Assoporto Augusta, descrive a FocuSicilia le conseguenze della crisi dello stabilimento petrolchimico sullo scalo siracusano. Il maggiore porto energetico italiano – reso tale proprio dal rapporto con Priolo – rischia di lasciare a casa migliaia di persone. “Parliamo di rimorchiatori, ormeggiatori, aziende chimiche e manifatturiere che lavorano il petrolio”, dice Noè. Nei prossimi giorni il governo riunirà un tavolo di crisi per decidere il da farsi. Tra le ipotesi al vaglio il coinvolgimento di Sace, controllata del ministero dell’Economia che fornisce garanzie alle aziende strategiche italiane, mentre Assoporto Augusta ha proposto “un ingresso diretto dello Stato nella proprietà attraverso Eni”.
Leggi anche – Petrolchimico Augusta, nel 2020 persi 5 miliardi. “Area di crisi o chiusura”
Banche ancora ferme
La situazione dello stabilimento Isab è sotto i riflettori sin dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina. Benché la società non sia sottoposta a sanzioni, il fatto che la proprietà sia riconducibile alla multinazionale russa Lukoil ha portato le banche a interrompere il credito. Di conseguenza l’azienda è stata costretta ad approvvigionarsi esclusivamente dal greggio di Mosca, ma dal sei dicembre, con l’embargo al petrolio russo, potrebbe trovarsi senza prodotto da raffinare. Dopo mesi di attesa, il governo Meloni ha emesso una “comfort letter” per rassicurare gli istituti bancari e riaprire i flussi di credito. Un tentativo non andato a buon fine, secondo Noè. “Le banche sono rimaste immobili, e questo crea un problema sia a livello nazionale, visto che Isab soddisfa gran parte del fabbisogno petrolifero del Paese, che territoriale per la perdita di migliaia di posti di lavoro”.
Leggi anche – Lukoil Siracusa: l’embargo al petrolio russo danneggia il petrolchimico
Ipotesi Eni nell’azionariato
Tra le ipotesi al vaglio del governo, come scritto nei giorni scorsi da FocuSicilia, anche il coinvolgimento di Sace, per dare un ulteriore segnale di solidità alle banche e permettere all’azienda di rifornirsi anche dopo lo stop al greggio di Mosca. Assoporto Augusta si spinge oltre, chiedendo l’ingresso di Eni, multinazionale del petrolio controllata dal governo tramite Cassa depositi e prestiti, nell’azionariato di Lukoil. “Deve essere fatto un passo avanti verso la compartecipazione, se non addirittura l’acquisizione completa, della Lukoil da parte dello Stato”, dice Noè. La presenza di Eni “darebbe garanzie di stabilità e prospettive di sviluppo”, evitando il rischio di acquisizioni da parte di gruppi esteri, “come una multinazionale americana che si era fatta avanti nelle scorse settimane”. Un rischio da scongiurare a ogni costo, dice la manager. “Oltre al danno ci sarebbe la beffa”.
Leggi anche – Isab Lukoil a rischio chiusura. In fumo oltre diecimila posti di lavoro
La fine dell’era fossile
I dubbi sono rappresentati dalla tempistica, vista la scadenza di inizio dicembre, ma anche dalla volontà dell’azienda di permettere l’ingresso di un nuovo socio. “La logica seguita dalla Lukoil è quella di un privato che fa i propri interessi, ma di fronte al rischio concreto di una chiusura l’ipotesi dell’ingresso di Eni sarebbe da valutare seriamente”, osserva la presidente di Assoporto Augusta. Per il futuro l’auspicio è che Lukoil e gli altri stabilimenti petroliferi della zona possano essere riconvertiti, “effettuando una transizione ecologica verso modelli più sostenibili”. Il processo, tuttavia, non avrà tempistiche brevi e soprattutto richiede investimenti consistenti. “L’era del fossile si sta chiudendo, quindi l’area deve essere messa in condizioni di reggere mentre viene realizzata questa trasformazione, in modo ordinato e soprattutto senza perdere posti di lavoro”, conclude Noè.