Nessuna nuova imposta sugli immobili, ma un adeguamento delle rendite catastali “in senso equo e progressivo”. Alla base di ciò, una mappatura più moderna e accurata, “per conoscere il patrimonio edilizio e gestirlo al meglio”. Salvatore Giuffrida, professore associato di Estimo all’Università di Catania, illustra a FocuSicilia il progetto di revisione del Catasto tratteggiato all’interno della riforma fiscale del governo Draghi. Una revisione ancora appena delineata, ma che fa già discutere. Per i promotori si tratta di un passaggio necessario per aggiornare i dati, portare a conoscenza del fisco gli “immobili invisibili”, adeguare le rendite ai valori di mercato. Per i critici sarebbe la chiave di volta per aumentare la pressione fiscale sulle abitazioni. Dal Governo sono arrivate secche smentite, ricorda Giuffrida. “Il presidente Draghi ha precisato che la revisione delle rendite non verrà applicata, e che una discussione su questo punto avverrà solo dopo il 2026”. In ogni caso, l’adeguamento ai valori di mercato non dovrebbe servire a introdurre nuovi tributi ma a far sì “che tutti paghino, e che nessuno paghi di più o di meno”.
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Aggiornare le “mappe”
La questione di fondo è semplice. I dati attuali del catasto non corrispondono alla situazione reale del territorio. Si parla di edifici non censiti, o accatastati in maniera difforme rispetto alla reale consistenza e alle caratteristiche rilevanti per il calcolo della rendita. Da qui l’esigenza del Governo “di accatastare quanto a oggi non è presente nell’inventario della proprietà immobiliare dello Stato, e di aggiornare la base informativa in senso quantitativo (consistenza) e qualitativo (classamento)”, spiega Giuffrida. La strada è ancora lunga. La Commissione Bilancio della Camera dei deputati ha approvato l’articolo sei della Legge delega in Materia Fiscale, che riguarda “la modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e la revisione del catasto dei fabbricati”. Il Parlamento ha dato quindi mandato al Governo di scrivere la legge vera e propria, che dovrà puntare “a modificare il sistema di rilevazione catastale degli immobili, prevedendo nuovi strumenti da porre a disposizione dei comuni e all’Agenzia delle entrate”.
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Breve storia della riforma
Di una revisione del catasto si parla da molti anni. Un importante impulso è stato dato dalle misure contenute nel disegno di legge 1762/2007. Al centro di quell’impianto, “la prospettiva di un progressivo passaggio da un ‘Catasto di redditi’ basato sulle rendite catastali, a un ‘Catasto di valori’ basato sui prezzi di mercato”. Una “rivoluzione”, la definisce il docente, che quando portata a termine avrà “due importanti effetti: da una parte l’ampliamento degli usi civili del catasto, dall’altra l’affermazione della natura patrimoniale – rispetto a quella reddituale – della proprietà immobiliare ai fini di una più equa e dinamica imposizione fiscale”. In altre parole, l’imposizione sui immobili verrebbe commisurata al valore capitale e non al reddito. È questa la prospettiva che, ipotizza Giuffrida, preoccupa “le forze politiche che più temono un fisco e orientato a realizzare forme di perequazione fiscale aventi come bersaglio i patrimoni e come approccio la progressività”.
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La questione delle “rendite”
Al di là delle valutazioni politiche, la realizzazione di una riforma così consistente non è semplice. E potrebbe non essere raggiunta nel breve periodo. Il nodo resta quello delle “nuove tasse”, ma per Giuffrida non si tratta dell’aspetto centrale. La futura riforma infatti è orientata “non tanto alla revisione delle rendite catastali, quanto piuttosto all’ampliamento delle informazioni e al potenziamento della digitalizzazione”. Un salto di qualità rispetto ai vecchi e polverosi uffici del catasto, che dovrebbe consentire di portare a conoscenza della Pubblica amministrazione “l’intera consistenza del patrimonio immobiliare e le sue caratteristiche”. Un dato niente affatto scontato, perché a tutt’oggi oltre un milione di case sfugge ai radar del catasto, anche a causa della sua arretratezza tecnica.
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I dati sugli immobili
Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio sul mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, lo stock immobiliare italiano al 31 dicembre 2020 è costituito da 76,5 milioni di edifici. Secondo l’Omi, circa 1,2 milioni di immobili mancano all’appello, non sono cioè censiti dal catasto. Le imprecisioni non finiscono qui. Degli immobili accatastati, circa due milioni non compaiono nelle dichiarazioni dei contribuenti, e per circa 3,7 milioni non si hanno dati, nemmeno relativamente ai proprietari. A ciò va aggiunto che molti terreni divenuti edificabili risultano ancora registrati come terreni agricoli. Una classificazione vetusta, che rende urgente un aggiornamento tecnologico. Un catasto più “smart” avrebbe vantaggi per tutti i cittadini. L’obiettivo è riuscire ad avere “un robusto e trasparente apparato conoscitivo e valutativo”, dice ancora Giuffrida, “sulla base del quale dedurre le basi imponibili in maniera coerente con la dinamica e la geografia delle quotazioni, e con l’evoluzione delle funzioni del patrimonio immobiliare”.
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Il ritardo del catasto
Perché ciò non sia ancora avvenuto, spiega il professore, non è facile dirlo. Da una parte può aver pesato “la difficoltà nel processo di formazione delle professionalità”, ma soprattutto “la naturale inerzia del ricambio generazionale nella pubblica amministrazione, a fronte della rapida evoluzione delle tecnologie informatiche e delle metodologie statistiche”. Un ritardo tanto più dannoso in una banca dati come quella del Catasto “che richiede, tra l’altro, anche il costante aggiornamento di dati sul campo”. Tali rilevazioni, aggiunge il professore, sono spesso complesse e costose. “Pensiamo al rilevo geometrico delle unità immobiliari, specie nei tessuti edilizi-urbani stratificati, cioè oggetto di accorpamenti, frazionamenti o semplici variazioni distributive”. Per questo la digitalizzazione è urgente. Giuffrida ricorda “le nuove tecnologie dell’informazione e del calcolo spaziale, quindi della Geomatica (Sit) e della statistica avanzata, ormai di uso comune da parte degli uffici delle Direzioni Provinciali dell’Agenzia delle Entrate, ma anche della introduzione della più recente Geostatistica”.
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Scontro nella maggioranza
Se l’obiettivo della legge appare largamente condivisibile, la maggioranza di Governo si è spaccata, al punto da far temere una crisi. Nella legge delega, il governo si è dato 18 mesi per scrivere la riforma vera e propria. “Ritengo auspicabile che questa fase possa davvero concludersi entro il termine indicato”, dice Giuffrida. Forze politiche permettendo. L’articolo 6 è stato approvato con un solo voto di scarto. Lega e Forza Italia, che pure sostengono il governo Draghi, hanno votato con le opposizioni. L’auspicio del professore è che la riforma possa andare in porto. “Credo molto nei principi dell’impianto del 2007, e ritengo che questa Legge Delega vada nella giusta direzione”. Per questo l’iter deve andare avanti, “nella speranza che davvero si possa concludere il processo di informazione e trasparenza”.