Cure mediche puntuali ed efficienti a Milano come a Catania, a Firenze come a Cosenza. Dovrebbe essere questo l’obiettivo del controverso “regionalismo differenziato”, il progetto di legge Calderoli. La proposta punta a dare maggiore autonomia di spesa alle Regioni, concedendo loro di trattenere il gettito fiscale, da gestire sia in campo sanitario che per gli altri servizi pubblici. Vengono individuati, come parametri obiettivi di riferimento, i Livelli essenziali di prestazioni, i Lep: sono valori standard con cui misurare l’efficienza di tutti i servizi, che le Regioni dovranno garantire allo stesso modo in ogni area d’Italia. Tuttavia la riforma, attualmente in discussione in Senato, non convince molti addetti ai lavori. A cominciare dai 105 esperti che hanno elaborato il report di Crea Sanità sulle performance regionali, i quali dubitano sulla “capacità di innescare un processo virtuoso” e paventano invece un “rischio di generare forme di competizione non voluta fra le Regioni”. Basti pensare alle politiche retributive del personale medico. “Le Regioni con maggiori risorse – si legge nel report Crea – potrebbero attirare le risorse migliori, generando un effetto spiazzamento per le altre”.
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I “Lea” in sanità infruttuosi da vent’anni
I Lep, su cui si basa la riforma Calderoli, esistono già in sanità da 22 anni e si chiamano Livelli essenziali di assistenza (Lea). Secondo l’osservatorio della Fondazione Gimbe, in oltre due decenni “il processo di definizione di standard nazionali Lea, il loro monitoraggio e le azioni intraprese dallo Stato non hanno affatto ridotto le diseguaglianze regionali, e in particolare il gap strutturale Nord-Sud, che su vari indicatori è addirittura peggiorato, come documentano anche i dati sulla mobilità sanitaria”. Infatti, 13 Regioni, quasi tutte del Centro-Sud, restano meno attrattive per i pazienti e hanno accumulato un saldo negativo di mobilità sanitaria di 14 miliardi di euro in nove anni (2012-2021), secondo i dati della Corte dei Conti. La Sicilia ha speso, per mandare i siciliani a curarsi in altre regioni, ben 200 milioni di euro solamente nel 2020. Le Regioni che hanno un saldo positivo perché hanno accolto e curato pazienti da tutta Italia, sono invece Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Veneto. Proprio quelle che spingono per l’autonomia differenziata. Potrebbero infatti spendere liberamente e aumentare ancora i livelli di efficienza dei propri sistemi sanitari.

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Le performance regionali: il Sud arranca
Il panel di 105 esperti di Crea Sanità ha premiato le performance regionali di Veneto e province autonome di Trento e Bolzano, che sfiorano un punteggio di 0,6 su un massimo teorico di uno. La Sicilia si conferma regione a rischio e arriva a 0,32. Le regioni con prestazioni molto scarse, come Basilicata e Calabria, non superano 0,30. Svincolate dal controllo dello Stato sulla spesa sanitaria pubblica, le regioni del Centro-Nord avrebbero già un vantaggio competitivo, mentre le regioni del Sud dovrebbero faticare pesantemente per spingersi verso i livelli “standard” di prestazioni, appunto i Lea che oggi non raggiungono proprio o i Lep che analogamente vedrebbero da lontano. Salvo che che il governo centrale non si assuma pienamente la responsabilità di forti compensazioni in favore delle Regioni più deboli. Lo stesso ragionamento della sanità si può applicare anche agli altri ambiti dei servizi pubblici che rientrerebbero nella riforma Calderoli: istruzione, lavoro, ricerca, energia, commercio, tanto per citarne alcuni.

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“Inaccettabili diseguaglianze tra 21 sistemi sanitari”
Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, in una recente audizione in Senato ha addirittura invitato a “escludere la tutela della salute dalle competenze regionali, a causa della crisi del sistema sanitario nazionale, delle diseguaglianze regionali e dell’impatto delle maggiori autonomie”. Emergenza Covid che ha dato una spallata al sistema, sotto-finanziamento, carenza di personale, mancanza di programmazione e demotivazione crescente, disuguaglianze nell’accesso alle cure e avanzata del settore privato sono le ragioni per cui stanno venendo meno i principi fondamentali di una sanità equa, causando liste d’attesa infinite, aumento della spesa privata, migrazione sanitaria, rinuncia alle cure e riduzione dell’aspettativa di vita. Sistemi regionali separati dal sistema nazionale creerebbero diseguaglianze più profonde, è il punto di vista di Cartabellotta, secondo cui non sono serviti finora “piani di rientro e commissariamenti” per rimediare alle “inaccettabili diseguaglianze tra i sistemi sanitari regionali, in particolare un gap strutturale Nord-Sud”.