Cinque milioni e seicentomila italiani vivono in povertà assoluta. E mezzo milione di questi sono siciliani. Questi dati Istat sono solo la premessa del Rapporto 2022 sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia pubblicato ieri da Caritas. L’ente confessionale della Conferenza episcopale italiana ha stilato il report – il ventunesimo – a partire da chi ha avuto accesso ai centri d’ascolto presenti in ognuna delle 225 diocesi sparse per il territorio italiano. Ovvero, oltre 225 mila persone nel 2021. I risultati non fanno altro che rinnovare l’allarme già lanciato dai dati statistici. “In questo rapporto si conferma soprattutto l’allargamento della forbice della povertà, arrivata in Sicilia al 10 per cento della popolazione”, commenta Giuseppe Giambusso, responsabile per Caritas Palermo dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse e referente per la Sicilia per la realizzazione del rapporto. Quel che emerge con maggiore chiarezza, però, è “la difficoltà a uscire fuori dalla povertà per chi viene a sua volta da famiglie povere. Come se fosse a trasmissione intergenerazionale”, commenta.
I “pavimenti appiccicosi”: la povertà che si tramanda
Dal rapporto, intitolato non a caso per il 2022 “l’anello debole”, emerge come “ci vogliano almeno cinque generazioni per una famiglia italiana per uscire dalla soglia di povertà, contro le 2,5 della media europea”, prosegue Giammusso. Caritas parla di questa difficoltà con una metafora, quella “dei pavimenti appiccicosi, dai quali è difficile staccarsi. E dai dati, soprattutto al Sud e in Sicilia, sono per la maggioranza donne che hanno difficoltà ad affrontare le spese fino a fine mese avendo un un basso reddito. E spesso sono anche senza dimora”. La percentuale di donne che accede ai centri d’ascolto, in Sicilia, è del 56 per cento, superiore alla media nazionale del 54, “e, a differenza del resto d’Italia, sono per la grande maggioranza persone di nazionalità italiana”. Considerando anche gli uomini, il 74 per cento di chi chiede aiuti a Caritas in Sicilia è italiano, contro una media nazionale del 55.
In Sicilia a chiedere aiuto sono quasi tutti italiani
Le diocesi, nelle prossime settimane, distribuiranno inoltre dei dati dettagliati sulle singole rilevazioni fatte nei propri centri d’ascolto. L’arcidiocesi di Palermo, la maggiore per popolazione seguita a poca distanza da Catania, “ha ricevuto 1.900 persone nel 2021, contando naturalmente solo chi ha rilasciato i dati per il report. Da noi la prevalenza di italiani è ancora più alta della media siciliana, arriviamo al 77 per cento”. La fascia d’età che più frequentemente fa ricorso ai centri d’ascolto a Palermo è invece identica a quella italiana, “tra 45 e 54 anni, individui la cui situazione è spesso aggravata dalla presenza nel nucleo familiare di minori. Per una famiglia di quattro persone anche uno stipendio fisso da 1.400 euro diventa non sufficiente. E più la famiglia è numerosa, più la soglia si abbassa”. La situazione degli stranieri, che in Sicilia rappresentano il 25 per cento degli assistiti da Caritas, non è però migliore. “Qui addirittura la media d’età si abbassa al decennio precedente, cioè alla fascia tra 35 e 44 anni”, prosegue Giambusso.

Il Reddito di cittadinanza “punti al reinserimento sociale”
A contraddistinguere i dati italiani rispetto a quelli delle Isole è però l’incidenza di chi si rivolge a Caritas e contemporaneamente percepisce anche il Reddito di cittadinanza: nella macroaera delle Isole, comprendente Sicilia e Sardegna, sono il 50 per cento, contro una media nazionale del 22,3. “Il Reddito di cittadinanza – prosegue Giammusso – ha avuto sicuramente un ruolo fondamentale per la sopravvivenza di tantissime persone soprattutto nel periodo della pandemia, e in quello che stiamo vivendo di crisi economica. Ma evidentemente non basta per uscire dalla povertà”. Al Reddito di cittadinanza Caritas dedica non a caso un’ampia parte nel proprio rapporto, “proponendo anche delle ulteriori estensioni alle misure attive, che secondo noi non devono solo riguardare l’inserimento lavorativo, ma un più ampio reinserimento sociale. Dai dati significa soprattutto puntare sull’istruzione, e dall’esperienza vissuta qui a Palermo anche solo far uscire le persone dal proprio orizzonte ristretto a una zona della città, dal proprio ‘ghetto'”, commenta.
Combattere la povertà educativa
La soluzione, per uscire dal “pavimento appiccicoso” della povertà intergenerazionale è quindi secondo Caritas soprattutto una: “Accompagnare i giovani fuori dalla povertà educativa, rompere la catena affinché non si perpetui”. E tutto passa dal livello d’istruzione, con dati allarmanti, ancora una volta, soprattutto in Sicilia: quasi l’85 per cento di chi si rivolge a Caritas possiede al massimo una licenza di scuola media inferiore, un dato che si ferma al 79 per cento nel resto d’Italia. “La grande maggioranza delle persone e degli utenti che si approcciano viene da famiglie di origine dove c’è al massimo la licenza elementare, mentre i figli che si rivolgono ai nostri centri hanno la licenza media. Si tratta – commenta Giammusso – di un avanzamento solo apparente, dovuto al solo spostarsi in avanti dell’obbligo scolastico. Quel che vediamo sono livelli di istruzione bassi che non garantiscono di avanzare a livello sociale”. E le occasioni di fuoriuscita da questa condizione offerte dalle scuole “non vengono sfruttate. Così si compromette la speranza dei giovani, e naturalmente anche il nostro sistema di mobilità sociale e democrazia”, conclude il responsabile dell’Osservatorio delle povertà di Caritas Palermo.