La siccità minaccia (di nuovo) la Sicilia. Secondo i dati forniti dall’Autorità di bacino della Regione, aggiornati a febbraio 2023, gli invasi dell’Isola contengono poco più di 374 milioni di metri cubi d’acqua. Il 39 per cento della capacità totale (954 milioni di metri cubi) e il 35 per cento in meno rispetto allo stesso mese del 2022, quando le scorte idriche superavano i 575 milioni di metri cubi. Per molte dighe siciliane (Arancio, Nicoletti, Ogliastro, Pozzillo, Prizzi, Ragoleto, Rubino e Trinità) si tratta del risultato peggiore dalla stagione 2018/2019. Il problema della siccità, del resto, riguarda tutta Italia. Tanto da spingere il ministro della Protezione civile ed ex presidente della Regione siciliana Nello Musumeci a chiedere al governo Meloni “una task force per varare misure urgenti e straordinarie”, tra le quali “creare laghetti aziendali, liberare le dighe e costruirne di nuove, riqualificare le reti idriche colabrodo dei Comuni, utilizzare le acque depurate per le coltivazioni”. Interventi, conclude il ministro, “che andavano adottati da tempo, tra tanta indifferenza e in assenza di qualunque programmazione”.
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Chi gestisce le acque siciliane
I dati dell’Autorità di bacino sono calcolati attraverso “strumenti di misura o da comunicazioni dei gestori”, e come sottolinea l’Ente sono ancora “in attesa di conferma ufficiale”. Le dighe censite sono 25, e sono gestite da diversi soggetti pubblici e privati. La maggior parte, ben 16, fanno capo direttamente al Dipartimento acqua e rifiuti della Regione. Si tratta degli impianti di Scanzano, Poma, Arancio, Nicoletti, Santa Rosalia, Trinità, Rubino, Comunelli, Cimia, Disueri, Castello, Olivo, San Giovanni, Gorgo Lago, Rosamarina, Lentini. Due dighe, Garcia e Ogliastro, sono gestite rispettivamente dal Consorzio di bonifica Palermo e da quello di Caltagirone. Altre due, Fanaco e Leone, sono controllate dalla Siciliacque S.p.A., partecipata al 75 per cento da Idrosicilia S.p.A. ed al 25 per cento dalla Regione Siciliana. Ci sono anche dighe controllate da soggetti privati, come Enel, che ne gestisce quattro (Piana degli Albanesi, Ancipa, Pozzillo e Prizzi) e la Raffineria di Gela, che controlla quella di Ragoleto.
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Invasi semivuoti (con poche eccezioni)
La crisi idrica appare evidente consultando i numeri degli invasi principali. Il dato che spicca maggiormente è quello della diga di Pozzillo, in provincia di Enna, alimentata dal fiume Salso, un affluente del Simeto. A oggi contiene meno di sei milioni di metri cubi d’acqua, contro una capacità complessiva di 150,5 milioni, che ne fa l’invaso più importante della Sicilia. A febbraio 2022, il volume raggiunto era di quasi 67 milioni. La diga di Ogliastro, tra Enna e Catania, alimentata dal fiume Gornalunga, contiene meno di 23 milioni di metri cubi d’acqua, su una capacità totale di 110 milioni. Nello stesso mese dell’anno scorso, aveva raggiunto i 39 milioni. La diga di Rosamarina, in provincia di Palermo, alimentata dal fiume San Leonardo, contiene poco più di 40 milioni di metri cubi d’acqua, su una capacità complessiva di 110 milioni. A febbraio 2022 aveva già superato i 62 milioni. Gli invasi più piccoli mostrano la stessa tendenza, con poche eccezioni. Per esempio la diga Garcia, alimentata dal Belice Sinistro, sfiora i 45 milioni di metri cubi su una capacità totale di 80 milioni. Nello stesso mese dell’anno scorso il livello era simile, a quota 49 milioni.
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Mancanza di pianificazione idrica
Una situazione difficile, che secondo il professor Vincenzo Piccione, già docente di Discipline ecologiche applicate presso le Università di Catania e Reggio Calabria, dipende dai cambiamenti climatici ma anche da carenze amministrative. “Basta guardare le statistiche per rendersi conto che oggi piove meno di qualche anno fa, e con intervalli sempre maggiori che rendono più complesso l’accumulo di riserve idriche”, osserva Piccione. Allo stesso tempo il docente riscontra “carenze evidenti a livello gestionale”, dovute al fatto che “la politica pensa più alle prossime elezioni che alle prossime generazioni”. Piccione fa l’esempio delle condotte idriche. “Non è un mistero che in molte zone della Sicilia siano ridotte a colabrodo, con perdite impressionanti che naturalmente comportano degli sprechi d’acqua enormi”. Il professore cita anche il caso della riserva del fiume Alcantara, che già l’anno scorso ha vissuto una vera e propria secca. “Peccato che l’Ente, per come era stato disegnato amministrativamente, non potesse intervenire sul fiume. Ora è stata fatta una correzione, ma siamo ancora lontani dalla soluzione”.
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La preoccupazione degli agricoltori
Una carenza che si ripercuote in particolare sull’agricoltura, spiega Rosario Marchese Ragona, presidente di Confagricoltura Sicilia. “La situazione è difficile, in particolare nella Sicilia orientale, che non è stata raggiunta dalle forti precipitazioni di due settimane fa. E in Sicilia orientale, dove l’acqua è arrivata, ha creato più danni che benefici”. La siccità minaccia diverse colture, “dal seminativo alle cucurbitacee, fino all’uva da tavola”, e il problema “è destinato a peggiorare in estate, quando raggiungeremo temperature che ormai possiamo definire tropicali”. Anche per Marchese Ragona la pianificazione ha mostrato molte carenze, “dal mancato collaudo delle dighe alla manutenzione dei canali, fino al funzionamento dei Consorzi di bonifica, su cui abbiamo sollecitato un intervento”. Allo stesso tempo, alcune iniziative vanno nella direzione giusta. “Il bando da 35 milioni per la creazione dei laghetti privati ha consentito a oltre 300 imprenditori agricoli di mettersi al sicuro dalla siccità in tempi brevi. Speriamo che questa misura, varata dal governo Musumeci, sia rilanciata da Schifani, anche con una dotazione economica maggiore”.