La Sicilia è la terza regione italiana per popolazione, la prima per dimensione territoriale, è regione di frontiera, ma ha un reddito pro capite sceso nel 2018 al 58 per cento della media Ue (era al 77 per cento nel 2000), una tendenza allo spopolamento che potrebbe portare del 2065 a perdere 1,1 milioni di abitanti e costi dell’insularità stimati in sei miliardi di euro, solo in parte recuperabili con nuove infrastrutture, da realizzare con fondi Pnrr e altre risorse comunitarie. L’Isola si prepara alla sfida del 2026 in una posizione sempre più in coda nel gruppo delle 280 regioni europee, eppure ha un ruolo strategico per la sua posizione geografica in Europa, porta del Mediterraneo molto più del Centro-Nord: quello che per decenni è stato il “cuore” dello sviluppo industriale italiano, oggi perde il quattro per cento del Pil rispetto ai Paesi Ue che invece guadagnano mediamente il 12,7 per cento. Il divario è così doppio: la storica questione meridionale e la spaccatura tra il resto d’Italia e l’Unione. Sono solo alcune delle osservazioni dello studio economico “Politiche attive e sistema delle Imprese. La Sicilia Polo di attrazione del Mediterraneo”, firmato da Adriano Giannola, presidente Svimez e da Armando Castronuovo, direttore dell’Osservatorio Svimez sulle Pmi del dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania.

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La pandemia è stata “l’ora della verità”
Giannola e Castronuovo smentiscono la narrazione del Nord-locomotiva e del Sud-idrovora: “I numeri degli ultimi quindici anni – scrivono – illustrano invece con grande chiarezza il progressivo crollo del Mezzogiorno in virtù della asimmetrica gestione territoriale delle politiche nazionali riservate a venti milioni di cittadini” delle regioni del Sud. Il drammatico momento della verità sarebbe arrivato con la pandemia: questo “ha obbligato l’Ue – scrivono gli economisti – alla repentina condivisione di un debito pubblico comunitario e al temporaneo superamento della severa austerità di Maastricht. In questo quadro il varo del Pnrr vede l’Italia prima beneficiaria, con 209 miliardi di euro per colmare i divari e promuovere la coesione sociale”. Risorse che, per il 40 per cento destinate al Sud, andranno a irrorare un tessuto produttivo che in Sicilia ha fatto registrare, sempre secondo lo studio Svimez-Università di Catania, numeri inaspettati nel settore manufatturiero: un tasso di crescita superiore dello 0,3 per cento annuo rispetto a quello nazionale, dell’uno per cento nel segmento tra 50 e 500 addetti, su un campione di 600 imprese monitorate su 1.400 imprese attive nell’Isola. Una crescita sovrapponibile a quella nazionale, se non migliore.
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Palermo e Catania che ‘spariscono’ in 40 anni
Risultati da considerare “lusinghieri”, che “segnano performance in media pari o superiori a quelle del campione nazionale”, e che fanno emergere un “settore industriale in evoluzione che può crescere nei prossimi anni e conseguire obiettivi di specializzazione e integrazione”. La crescita del valore aggiunto viene ipotizzata in circa quattro punti percentuali e 400 mila nuovi assunti grazie alle “aspettative alimentate dall’avvio del Pnrr, con interventi a prevalente carattere infrastrutturale”, sottolineano gli esperti, sempre che gli interventi che ammontano a oltre 18 miliardi di euro, quanto un intero bilancio della Regione, si realizzino effettivamente entro il 2026. Lo sviluppo potrebbe tra l’altro disinnescare il processo di spopolamento in atto: Svimez prevede che nel 2065 possano sparire circa 900 mila siciliani, passando dagli oltre 4,8 milioni di oggi ai 3,9. Sarebbe come cancellare per intero due grandi città come Palermo e Catania nel giro di 40 anni. Il timore maggiore è, in questo scenario, di non riuscire ad avviare i cantieri del Pnrr e a completare in tempo le opere. Il rischio è alto e per il segretario generale della Cisl Sicilia, Sebastiano Cappuccio, “il nodo da sciogliere riguarda principalmente gli enti locali: senza personale tecnico e amministrativo sufficiente e competente negli uffici comunali e regionali, sarà impossibile sostenere la programmazione del Pnrr e in generale gli investimenti previsti dalle risorse comunitarie e portare avanti i progetti nei tempi previsti”
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Cisl: “Strategia regionale e nuove assunzioni”
Secondo il segretario generale Cisl Sicilia, occorre con grande urgenza “rivedere l’accordo tra Stato e Regione che riguarda il blocco delle nuove assunzioni” così da liberare risorse importanti per far funzionare al meglio la macchina amministrativa. Per quanto riguarda l’amministrazione regionale, Cappuccio evidenzia come sia “indispensabile avviare subito una concertazione con le parti sociali che riguardi anche l’impiego dei fondi Pnrr e che affronti i nodi politici, gestionali e di legalità per scongiurare il pericolo che Nord e Sud siano divisi nella ripartenza”. Il sindacato ha presentato mesi fa un pacchetto di 15 proposte e chiede “una governance unica e convergenza di obiettivi tra spesa ordinaria, finanziamenti del Pnrr, fondi strutturali e d’investimento europei e fondo di sviluppo e coesione, dando piena attuazione al partenariato con le parti economiche e sociali e in forza di una lungimirante riprogrammazione dei fondi Ue 21/27”, specifica Cappuccio, che ammette però: “Non si ha l’impressione che esista un piano di azione, una strategia mirata, soprattutto a medio termine, da parte del nuovo governo regionale, con cui abbiamo avuto finora solo degli incontri occasionali, ma niente di strutturato”.