“Negli ultimi 25 anni, la riduzione degli occupati, come conseguenza dello spopolamento (soprattutto giovanile, -1,6 milioni), e i deficit di lungo corso hanno, di fatto, determinato un continuo e progressivo calo del Pil prodotto dal Sud ampliando ulteriormente i divari con le altre aree del Paese”. Una situazione che fa sì che le condizioni e le prospettive di vita e di lavoro siano inferiori rispetto alle altre regioni. Ne deriva che i giovani abbandonino la propria terra in cerca di lidi migliori e le donne si sentano disincentivate sia in termini di partecipazione al mercato del lavoro che a scegliere di diventare madri. È il grigio quadro che deriva dall’analisi dell’ufficio studi Confcommercio che si concentra su economia e occupazione al Sud dal 1995 ad oggi. Un’analisi che non manca di puntare il dito contro “una cattiva allocazione delle risorse” che porta al “sottoutilizzo delle ingenti risorse produttive, culturali, turistiche e imprenditoriali residenti nel Mezzogiorno.
Al Sud il Pil pro capite è la metà di quello del Nord
Tra il 1995 e il 2020, il peso percentuale della ricchezza prodotta dal Mezzogiorno d’Italia sul totale nazionale si è ridotto di due punti percentuali, passando da poco più del 24 per cento al 22. Il Pil pro capite non solo è sempre rimasto circa la metà di quello del Nord, è pure diminuto mentre nel resto del Paese è cresciuto. Era 18,8 nel 1995, ha avuto un picco al 21,6 nel 2007 per poi scendere progressivamente fino a 18,2 nel 2020. Al Nord ovest è rimasto sempre sopra 34 punti, sfiorando i 39 nel 2007; al Nord-est si è sempre attestato sopra i 32 con picco massimo di 37,5 nel 2007. Le ragioni del deficit del Sud sono molteplici secondo gli esperti di Concommercio, “ma le principali sono due: la decrescente produttività totale dei fattori, conseguenza dei gap di contesto che affliggono le economie delle regioni meridionali in particolare e la riduzione degli occupati, conseguenza della riduzione della popolazione residente”.
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Scarsa produttività, gli investimenti necessari
Insomma, scarsa produttività e migrazione sono le zavorre del Sud. Due aspetti interconnessi tanto da essere due facce della stessa medaglia. Inoltre è chiaro, come si è spesso evidenziato, che il Mezzogiorno d’Italia soffre ancora oggi la crisi del 2008 a differenza del resto del territorio. Non vale, sottolineano da Confcommercio, “a parziale correzione di queste evidenze, un differente livello dei prezzi tra regioni. A queste differenze si contrapporrebbero, con effetto dominante, le difficoltà di accesso e fruizione di molti servizi pubblici di base”. La ricetta che propone Confcommercio per aumentare “il livello e la dinamica del prodotto potenziale del Meridione, sviluppandone ricchezza e opportunità di investimento, anche provenienti dall’estero” basa gli investimenti sulla riduzione dei difetti strutturali del Mezzogiorno. Nel dettaglio le scelte politiche dovrebbero concentrarsi su controllo del territorio e contrasto alla micro-illegalità, digitalizzazione e innovazione, burocrazia, istruzione di ogni ordine e grado e riduzione dei gap infrastrutturali di accessibilità, dai trasporti alla banda larga “che non permettono un’adeguata connessione socio-produttiva del Sud col resto del Paese e, soprattutto, con l’Europa”.

Occupazione
Al tema della produttività è strettamente legato quello delle condizioni economiche e sociali di vita e quindi quello della scelta di risiedere o piuttosto di emigrare. Il Sud perde sempre più residenti, anche in questo caso è l’unica macro regione in Italia con questa tendenza. E a lasciare sono quelli che dovrebbero rappresentare il motore per il futuro: i giovani. I dati parlano chiaro. La popolazione al Sud è passata dal 36,3 al 33,8 per cento tra il 1995 e il 2021. I giovani con meno di 19 anni, rispetto al 1995, sono oltre 1,6 milioni in meno. Numeri che rappresentano la quasi totalità della perdita dei giovani in tutta Italia. Una perdita così ingente che secondo Confcommercio “anche l’eventuale e improbabile rapida risoluzione del problema della produttività potrebbe risultare insufficiente a migliorare il processo di costruzione di benessere economico e sociale del nostro Mezzogiorno, almeno in termini aggregati”.
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Il declino del Sud influenza il declino dell’intera Italia
Va considerato anche il fatto che le condizioni attuali disincentivano le donne sia a partecipare alla vita lavorativa che a diventare madri. A fronte di tanti giovani che vanno via non ne nascono abbastanza. Tuttavia, sebbene i problemi più profondi risiedono al Sud, il resto d’Italia non ne è del tutto esente. La popolazione italiana complessiva è in riduzione dal 2015. Certo, come detto il Mezzogiorno influenza il dato in modo particolare, ma se prima dal Sud si andava verso il Nord, è anche vero che oggi dal Nord stesso si emigra verso altri Paesi. “L’investimento in istruzione sui giovani italiani, piccolo o grande che sia, contribuisce prospetticamente a incrementare il Pil di altre nazioni”. Tutto, sottolineano da Confcommercio, “è causa e conseguenza del declino del Sud, nonostante la presenza di forze vitali che chiedono solo condizioni adeguate di attivazione”. Un declino le cui radici “hanno natura strutturale e origini lontane nel tempo”.
Turismo e Pnrr
La pandemia ha certamente avuto il suo impatto, ma come logica suggerisce, è stato maggiore al Nord che al Sud. Ha colpito dove aveva maggiori risorse da colpire, ovvero maggiore produttività. Sembra che il recupero sia già iniziato e il rischio è che si torni alla stessa siuazione economica pre-Covid: con un Nord produttivo e un Sud che arranca. Per scongiurare questo pericolo si invocano maggiori risorse, anche di derivazione europea. Si parla di porre attenzione soprattutto sul turismo che dovrebbe rappresentare il valore aggiunto per il Mezzogiorno, ma secondo Confcommercio “questo vantaggio è, tuttavia, più nella sensibilità e nella speranza di molti italiani e della maggior parte degli esperti, piuttosto che nei dati”.

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Occorre sapere mettere a reddito i servizi turistici
Guardando la la quota di spesa dei turisti stranieri sui consumi interni per alcune regioni italiane nel 2019, anno “normale”, è il Centro a farla da padrone con quasi sei punti percentuali. Il Sud si ferma a 2,3 mentre il Nord conta il cinque nel Nord-est e il 3,7 nel Nord-ovest. Alcune regioni come la Calabria (0,7) e la Basilicata (0,6) non hanno partecipato al processo di costruzione di ricchezza attraverso il turismo. La Sicilia conta 2,8 punti. Delle due una, scrive Confcomercio: “o il presupposto teorico ed empirico del vantaggio comparato del Sud è falso – bellezze naturali, percorsi culturali, clima favorevole – oppure le risorse presenti non sono adeguatamente messe a reddito”. La valorizzazione del turismo, soprattutto nel Mezzogiorno del Paese, dovrebbe invece diventare una priorità per tutti permettendo una maggiore produttività dei servizi di mercato e delle imprese più piccole.