Negli ultimi anni l’Università di Catania ha favorito la nascita di 20 imprese innovative, con 144 team imprenditoriali al lavoro e un impatto economico considerevole sul territorio. Risorse che hanno arricchito un ecosistema imprenditoriale – quello catanese – che con circa 200 start up è uno dei più attivi in Italia. È quanto emerso nel corso dell’incontro “L’Università che fa impresa”, che si è tenuto ieri nell’aula magna della Scuola superiore di Catania. “L’attività di promozione delle imprese da parte di Unict comincia intorno al 2007, con la prima partecipazione a Start Cup, ma si rafforza soprattutto a partire dal 2013, con la partecipazione fissa alla competizione e il consolidamento del meccanismo dello spin-off”, dice a FocuSicilia Rosario Faraci, ordinario di Economia e gestione delle imprese, nonché delegato del rettore per l’Incubatore di Ateneo, start up e spin off e promotore dell’iniziativa. Questo meccanismo, precisa il professore, non fornisce finanziamenti diretti alle imprese “ma le aiuta sul piano organizzativo, per esempio per la redazione di un business plan, su cui spesso le aziende più giovani incontrano delle difficoltà”.
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Intelligenza artificiale sotto l’Etna
Nel corso dell’incontro hanno presentato le loro attività tre start up nate con il contributo di Unict. Tra queste Next Vision, società che si occupa di analisi, progettazione e sviluppo di sistemi e software di intelligenza artificiale. “Abbiamo elaborato due progetti, Nairobi, un assistente intelligente in grado di condurre gli utenti a una destinazione all’interno di un determinato ambiente, e Naomi, che fornisce aiuto ai lavoratori del settore industriale”, spiega Francesco Ragusa, Ceo della start up. Una realtà che “si è già fatta notare da grandi aziende, che hanno mostrato interesse per i nostri prodotti”, e che ha mosso i primi passi grazie all’Ateneo catanese, “soprattutto in ambito economico, visto che essendo tutti informatici non avevamo le necessarie conoscenze”. L’obiettivo per il futuro è di rimanere sul territorio etneo per offrire possibilità d’impiego. “Puntiamo a stabilizzare la start up e farla crescere qui, per far sì che altri giovani non siano costretti a portare altrove le proprie competenze ma possano creare sviluppo nella loro terra”, aggiunge il Ceo.
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Dalla cenere alla farina di grilli
A presentarsi agli studenti anche Georec, società che offre servizi per la creazione di materiali innovativi ed ecosostenibili. “Puntiamo a sfruttare gli scarti di lavorazione, ma anche elementi naturali come la famosa cenere vulcanica”, spiega Roberta Occhipinti, geologa e responsabile per la ricerca e lo sviluppo dell’azienda. La sfida è quella di reimmettere materiali che sarebbero stati scartati nel ciclo economico, “non solo in ambito edilizio ma anche per quanto riguarda il restauro”. A raccontare il proprio percorso anche Alpha Food, vincitrice di Start Cup Catania 2022 e candidata alla fase nazionale della competizione che si terrà a L’Aquila. “Noi ci occupiamo di produrre proteine animali alternative, a base di farina d’insetto ricavata principalmente dai grilli”, dice il portavoce Marcello Reale. Un alimento “completamente sostenibile” che con il contributo di Unict è approdato a una platea nazionale. “L’Università ci ha aiutato molto sul piano organizzativo e gestionale, permettendoci di trasformare la nostra idea in realtà”.
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Contaminazioni tra impresa e archeologia
Tra gli obiettivi del seminario anche quello di favorire la contaminazione tra il mondo economico e quello umanistico. “Anche un investimento culturale come uno scavo deve essere sostenibile e creare valore aggiunto sul territorio”, hanno detto l’archeologa Carolina Megale e l’economista Stefano Monti, autori del “Manuale di management per l’archeologia”. Per finanziare le proprie ricerche, hanno prima aperto gli scavi ai volontari e poi costituito una società che si occupa di didattica, laboratori, visite guidate e gestione museale. A concentrarsi sul rapporto tra impresa e università il professor Andrea Piccaluga, direttore della Scuola di management presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. “Le ragioni per cui si fonda un’azienda spesso non sono legate al denaro ma alla voglia di fare qualcosa per la propria comunità”, ha detto Piccaluga. Una questione di cuore oltre che di portafogli, insomma, che però deve fare i conti con difficoltà concrete. “Tra le prime 20 ragioni che portano al fallimento di un’azienda, infatti, c’è l’assenza di uno spazio di mercato. Segno che alla base non c’è stata una valutazione efficace”.