Un’impresa, fino a 21 Enti di controllo: così la burocrazia “stritola” gli artigiani
Decine di enti di controllo,addirittura21 per il solo“alimentare”,che danno vita a una burocrazia asfissiante che complica la vita di chi vuol fare impresa: anche per questo, tra il 2009 e il 2019, il comparto degliartigiani sicilianiha perso oltre 13 mila aziende, il 15 per cento del totale. È quanto emerge dai dati dell’Osservatorio sulla Burocrazia di Cna,presentati questa mattina nella sala Mattarella di palazzo dei Normanni a Palermo. Il rapporto si concentra sudiverse tipologie di imprese artigiane,“installazione e manutenzione di impianti, produzione alimentare, estetica, acconciatura, meccatronica, tatuaggio, piercing e toelettatori di animali”. Un bacino che a livello nazionale raccoglie“oltre 400 mila imprese”,costrette a fare i conti con il “labirinto della burocrazia”. La colpa, scrivono gli esperti, è anche del“dedalo di competenze legislative tra Stato e Regione”,che nel corso degli anni ha generato “differenze territorialidi tipo normativo e amministrativo, che danno luogo ad anomalie nello svolgimento dell’attività d’impresa“. Leggi anche –Imprese, Confindustria: innovazione stretta nella morsa della burocrazia A chiedere una legge quadrosonoPiero GiglioneeNello Battiato,rispettivamente segretario e presidente della Cna Sicilia. Una norma che “faccia ordine sulla giungla dentro la quale oggi le imprese artigiane sonocostrette a districarsi“, e che garantisca tempi più rapidi perché “le imprese siciliane non possono attendere anni”. Questa legge, chiede il dirigenteFrancesco Cuccia, dovrà essere applicata “allo stesso modo dagli enti territoriali in tutte le province”. L’obiettivo, aggiungeMarco Capozi,responsabile del Dipartimento relazioni istituzionali e affari legislativi Cna nazionale, è ridurre le“disomogeneità”esistenti, con particolare riferimento “alla somministrazione dei prodotti delle aziende artigianeagroalimentari“, ma anche “alla vendita di bevande alla spina”. Importante il ruolo dello Statuto speciale, osservaGiuseppe Verde,docente dell’Università di Palermo, una norma che “ha rappresentato un’opportunità ma unoscudo difensivo per la Sicilia“. Il rapporto fornisce alcuni esempi sull’effetto negativo della burocraziasulle imprese artigiane. Sulcomparto alimentare,come detto, vigilano ben 21 enti. Tra gli altriNas, Asl, Siae, Inps e Inail.Senza dimenticareForestale, Guardie ecologiche, Polizia locale, Polizia di Stato, Vigili del fuoco e Guardia di finanza.Ma anche autorità meno note come l’Usmaff, Ufficio di sanità marittima aerea di frontiera.Ciò comporta una grande confusione per le 70 mila imprese del comparto a livello nazionale. Le cose, denuncia Cna, cambiano anche da Comune a Comune. Nello specifico, il 90 per cento “richiede untitolo abilitativodel commercio”, l’85 per cento “non consente, in ogni caso, di venderebibite alla spina“, mentre il 10 per cento “vieta l’utilizzo deglispazi esterni-dehors“. In Sicilia, inoltre, non tutte leimprese alimentarisono considerate “artigiane”. È così nelle ex province diSiracusa, Ragusa e Agrigento,mentre nelle altre zone dell’Isola servono “ulteriori titoli abilitativi”. Titoli che a loro volta richiedonoimpiego di tempo e risorseper le aziende. Leggi anche –Incendi, dopo le fiamme la burocrazia. Imprenditori senza rimborsi Per quanto riguarda l’installazione emanutenzione di impianti,che raggruppa 143 mila imprese in tutta Italia, Cna denuncia “la diversa durata dei corsi di aggiornamento dellaqualifica professionale“, che possono andare da 16 a 24 fino a 32 ore. I problemi non finiscono una volta ottenuto il titolo. Nella maggior parte delle regioni – compresa la Sicilia – “non c’èautomatica trasmissionedell’attestato dei corsi allaCamera di Commercio“, adempimento che quindi “grava sull’imprenditore”. La situazione si risolverebbe con un “modulo standard conspecifiche di interoperabilità,per assicurare la trasmissione dell’attestato”. Altra criticità denunciata dal settore riguarda il Catasto degli impianti termici. Per legge ogni regione“dovrebbe avere una sua piattaforma“,ma nella realtà essa “non è operativa inAbruzzo, Campania e Basilicata“. C’è chi ha poco e c’è chi ha troppo. In alcune regioni infatti si arriva“fino a sette piattaforme”(due in Sicilia), con controlli previsti“solo su impianti censiti”. Per tutti gli altri, la sicurezza restaun miraggio. Leggi anche –Riserve naturali in Sicilia, quante e quali sono. Tra burocrazia e poche risorse Se alimentari e impiantistica piangono, secondo i tecnici della Cna gli altri settori non ridono. Perl’estetica e l’acconciatura(154 mila imprese in tutta Italia), la formazione va “da 198 a 1.394 ore all’anno a seconda della Regione”. In Sicilia il percorso è strutturato su quattro anni, conun corso che dura 1.056 ore.A differenza di altre aree del Paese, viene sottolineato nel rapporto, l’iter non inizia dopo la scuola media. In generale “manca unostandard formativo” che uniformi le competenze sututto il territorio nazionale.Per l’applicazione ditatuaggi e piercing(ottomila imprese) l’oscillazione è ancora maggiore. Nello specifico, “13 regioni su venti hanno disciplinato le attività”. La formazione va “da 12 a 1.500 ore di corso”, ma non sempre viene richiesto “lo stesso titolo di studio per accedere”. In Sicilia laformazionedura 60 ore e richiede il diploma di istruzione secondaria di secondo grado, mentre altroveci si accontenta della terza media.A mancare, anche in questo caso, è “una legge di settore” cheuniformi la vita delle imprese. Leggi anche –Aziende agricole: innovazione frenata dalla burocrazia e dal gap digitale Per latoelettatura degli animali(oltre cinquemila imprese in tutta Italia) “nessuna regione ha previsto una legge”. Si tratta di un’attività artigiana “ma non sempre viene richiesta la Scia, (Segnalazione certificata di inizio attività,ndr) per avviarla”. A livello di formazione “solo otto regioni su 20 hanno previsto un percorso”. Tra queste c’è la Sicilia, dove occorrono 600 ore di lezione, oltre alla regolare presentazione della Scia. Per quanto riguarda lameccatronica,infine, il comparto raccoglie 70 mila imprese, e deve fare i conti conregole differenti sui territori.In particolare il 70 per cento dei Comuni “richiede una Scia alSuap, Sportello unico per le attività produttive,e una comunicazione in Camera di commercio”. Il restante 30 per cento dei Comuni, invece, si accontenta di“una semplice comunicazione”per far partire un’attività. Un groviglio che genera incertezza e confusione, ribadiscono i tecnici della Cna. Per questo l’associazione chiede alle istituzioni una riforma complessiva che dia“omogeneità e chiarezza”allanormativa.