Augusta, l’appello degli ex lavoratori Bpis: “Non dimenticateci”

“L’azienda è fallita senza che noi lo potessimo immaginare: era il 28 dicembre quando è venuto il curatore fallimentare direttamente in azienda a fermare il lavoro e mettere i sigilli”. Racconta così Marco Fazzino, lavoratore specializzato nella manutenzione del condizionamento industriale, il momento della fine per la Bpis srl di Augusta: un “fulmine a ciel sereno”. L’azienda era fallita ufficialmente il 22 dicembre ma “senza che noi ne sapessimo nulla, tanto che eravamo regolarmente al lavoro”. Sulla vicenda, insieme ad altri 50 dei 132 lavoratori dell’azienda che effettuava manutenzioni industriali anche per impianti elettrici e idraulici nei grandi impianti della Sonatrach (ex Esso), di Lukoil (la grande raffineria Isab), e per Enel, ha scritto un appello per il rilancio della zona industriale “in declino”. Anche se la prospettiva sembra solo una: l’attesa. “A maggio avremo la prima udienza per ottenere quanto ci spetta, ovvero due mensilità di novembre e dicembre più il tfr. Ma al momento non abbiamo nemmeno le buste paga, e per quanto ci dicono i nostri avvocati nemmeno è stato fatto un inventario di tutte le proprietà dell’azienda. Non possiamo nemmeno formulare una richiesta precisa”, spiega Fazzino. Anche ottenere l’indennità di disoccupazione Naspi non è stato facile “con l’azienda che ha effettuato il licenziamento collettivo solo a febbraio”, specifica. L’unica speranza, “in un periodo difficile come questo tra Covid e crisi della zona industriale”, come sottolinea Fazzino, sembra quella di un ricollocamento in un’altra azienda della zona industriale, come già accaduto a 60 ex lavoratori Bpis. In 50 sono stati impiegati da Coemi srl, azienda della famiglia Prestigiacomo che ha rilevato proprio l’appalto di Bpis dentro Sonatrach, mentre “un’altra decina da altre aziende che orbitano attorno al sito, e con contratti a tempo determinato per la maggior parte”, spiega il sindacalista Angelo Sardella, segretario della Fim Cisl per Siracusa e Ragusa. “Chi ha vinto il contratto di manutenzione – spiega il sindacalista – non poteva assorbire tutte le 132 unità, c’è quindi necessità di allargare la platea per quanto riguarda i tavoli per i lavoratori”. Ovvero, trovare nuove aziende disposte ad assumere gli operai, compito complicato dall’assenza di “clausole sociali per il ricollocamento, come a Gela e Milazzo”. Ma soprattutto dal mancato riscontro da parte di Isab. “Nonostante la pandemia Lukoil, che gestisce la più grande raffineria d’Europa, ha chiuso a qualunque ricollocamento. Lo sforzo che dobbiamo fare è quello di trovare accordi tra committenti e imprese locali, per andare a ricollocare i lavoratori”. Ma se il primo accordo con Coemi è partito il primo marzo “con Confindustria ci risediamo il prima possibile, come da richiesto ieri da noi Fiom Cgil e Uilm, per vedere se ci sono altre possibilità”, afferma Sardella. Ma l’assenza di Lukoil allarma il sindacalista. “Forse sta passando sotto banco, ma ci chiediamo davvero se c’è il rischio che chiuda il più grande petrolchimico d’Europa, con decine di migliaia di lavoratori tra diretto e indotto”, conclude Sardella. Non è del resto la prima volta che i lavoratori vengono “ricollocati” in nuove aziende. “Anche se l’azienda Bpis è nata ufficialmente nel 2014, quasi tutti i lavoratori venivamo dalla Smai, poii Csi e infine Bpis, tutte aziende afferenti sempre alla stessa famiglia Porrovecchio”, spiega Fazzino. Le vicende aziendali si sono in ualche modo affiancate a quelle della proprietà, con la Bpis, acronimo di “Business Projects industrial services srl”, fondata proprio nel 2014, anno della morte dell’imprenditore Benito Porrovecchio, fondatore della Smai. “Noi siamo entrati quasi tutti nel 2015 in Bpis, ma siamo persone con 25 anche 30 anni di esperienza”. Dei 132 lavoratori, “almeno 3 grazie alla Naspi che durerà due anni potranno al termine andare in pensione, un’altra decina avevano invece altri tipi di situazioni anche con l’azienda. Per questo siamo rimasti in cinquanta senza lavoro”, spiega Fazzino. Insieme ai colleghi che hanno scritto con lui l’appello, è però ben consapevole della situazione complessa che riguarda la crisi dell’intero sistema industriale di Agusta. “Ma se le cose continuano così ci metteremo davanti al tribunale a protestare”, conclude.