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Bianchetto, Scorzone e Uncinato: sui tartufi la Sicilia punta a sfidare il Nord

Per molti anni il prodotto è stato trascurato, ma dal 2009 si sta assistendo a una riscoperta. Secondo le stime della Regione ci sarebbe un'ampia disponibilità in natura, con prospettive anche per la coltivazione. Ma prima l'Ente deve varare il regolamento per i cavatori

Nei prossimi anni la Sicilia potrebbe diventare la tartufaia d’Italia, superando i più famosi “giacimenti” del Nord, sottoposti a sfruttamento massiccio dai cavatori e spesso esauriti. Secondo le ultime stime del Dipartimento dell’agricoltura della Regione siciliana, nell’Isola abbondano in particolare Tuber Borchii, Tuber Aestivum e Tuber Uncinatum, meglio noti come tartufo Bianchetto, Scorzone e Uncinato. “I numeri esatti sono difficili da stimare, ma dai campioni risulta che possano essercene quantità importanti, con caratteristiche organolettiche peculiari, per esempio per quanto riguarda l’aroma dello Scorzone”, dice a FocuSicilia Giuseppe Destrino Papia, responsabile dell’applicazione della normativa sui tartufi per la Regione siciliana. Secondo Papia, nell’Isola crescono “tutte le specie di tartufo commerciabili”, ma la sfida vera è quella di una raccolta ordinata e sostenibile. “Dobbiamo evitare che ci sia uno sfruttamento eccessivo, da parte dei raccoglitori locali ma anche di quelli che potrebbero arrivare dal Nord”. Per questo la Regione ha convocato un tavolo tecnico per l’adozione di un regolamento di raccolta. “Proprio in questi giorni si stanno tenendo le riunioni, e presto arriverà il documento”, anticipa Destrino Papia.

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Prodotto di elevata qualità

Tecnicamente, osserva l’esperto, “il tartufo è un fungo che si sviluppa interamente sottoterra”. Per il suo sviluppo servono “terreni freschi e calcarei, con un livello di Ph elevato, possibilmente maggiore di sette, molto diffusi sul nostri territorio”. Le specie presenti “sono diverse decine”, ma quelle che possono essere commercializzate “sono soltanto nove, mentre le altre possono risultare legnose e poco digeribili, anche se sono difficili i casi di elevata tossicità come negli altri funghi”. Come detto, le tipologie più comuni sono tre e hanno pezzature variabili. “Il Bianchetto parte dalle dimensioni di un cece, ma può arrivare fino a cento grammi”, spiega Destrino Papia. Le ultime quotazioni, secondo il portale specializzato Tartufo.com, raggiungono i 490 euro al chilo. Quanto allo Scorzone, dice ancora l’esperto, “può raggiungere dimensioni molto superiori, fino a 600/700 grammi, ma di solito si aggira sui 60/70 grammi”. Il prezzo è di circa 645 euro al chilo. Il tartufo Uncinato, infine, “è più piccolo dello Scorzone, di cui è una variante, e in media raggiunge i 30/40 grammi”. In questo caso il prezzo può raggiungere i 900 euro al chilo.

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La normativa regionale sul tartufo

La normativa in materia di tartufi in Sicilia è arrivata con 35 anni di ritardo rispetto al resto del Paese. La legge nazionale risale infatti al 1985, mentre la Regione ha varato una propria norma soltanto nel 2020, per la “raccolta, coltivazione, commercio e tutela dei tartufi”. Secondo Destrino Papia, per molto tempo il tartufo siciliano non è stato preso in considerazione. “Soltanto nel 2009 l’assessorato acquistò due cani da fiuto, con risorse europee. Uno fu affidato a me, l’altro a un collega della Sicilia orientale. Da allora, con i primi sopralluoghi e ritrovamenti, è iniziata la riscoperta di questo prodotto”. Oggi è acquisito che le particolari condizioni climatiche siciliane “hanno favorito la presenza di più specie”, e nel prossimo futuro si potrebbe avviare “una razionale tartuficoltura”, con prospettive produttive importanti “se portata avanti da personale competente”. Fondamentale la sorveglianza, “per la salvaguardia delle tartufaie naturali esistenti e l’impianto di nuove tartufaie, utilizzando materiale forestale e tartufo autoctono”. Per questo la norma regionale del 2020 ha previsto un regolamento, da approvare “entro 120 giorni dall’entrata in vigore della presente legge”.

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Il tavolo tecnico sul regolamento

Calendario alla mano di giorni ne sono passati quasi 800, ma adesso Palermo ha finalmente ripreso in mano il dossier. A fine febbraio, infatti, l’assessore all’Agricoltura e vicepresidente della Regione Luca Sammartino ha confermato che è in discussione una bozza di regolamento, che fisserà “le norme per i cavatori” e permetterà di creare “una nuova filiera”, ma al tempo stesso di “difendere il territorio, valorizzare le aree vocate e garantire un maggiore sviluppo economico, culturale, turistico, commerciale ed eno-gastronomico della nostra terra”. A discutere il nuovo regolamento sarà un apposito tavolo tecnico, composto da diversi esperti tra cui lo stesso Destrino Papia. Molte le variabili da tenere in considerazione. “Servono regole per la raccolta nei boschi, per esempio sulla copertura delle buche dopo il prelievo del pezzo, fondamentale per permettere la riproduzione del fungo, ma anche per la tartuficoltura privata”. Come detto sarà necessario predisporre anche un meccanismo di controllo, per contrastare comportamenti sbagliati per il prodotto e l’ambiente. “Potrebbero vigilare i forestali o la polizia locale. Sul punto stiamo valutando, ma sicuramente servono controlli stringenti per evitare problemi”, conclude l’esperto.

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Valerio Musumeci
Valerio Musumeci
Valerio Musumeci (Catania, 1992), è giornalista e scrittore. Nel 2015 ha esordito con il pamphlet storico-politico "Cornutissima semmai. Controcanto della Sicilia buttanissima", Circolo Poudhron, con prefazione della scrittrice Vania Lucia Gaito, inserito nella bibliografia del laboratorio “Paesaggi delle mafie” dell'Università degli Studi di Catania. Nel 2017, per lo stesso editore, ha curato un saggio sul berlusconismo all'interno del volume "L'Italia tradita. Storia del Belpaese dal miracolo al declino", con prefazione dell'economista Nino Galloni. Nel 2021 ha pubblicato il suo primo romanzo, "Agata rubata", Bonfirraro Editore.

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