Studiare al liceo classico in un’epoca digitale è una scelta logica? Questa provocazione torna puntualmente di moda in primavera, alla luce della progressiva diminuzione delle iscrizioni nei ginnasi e dell’accorpamento delle classi, salvo poi rendersi conto che da anni, le Big Tech hanno infranto il soffitto di cristallo e amano assumere filosofi e umanisti per sviluppare il pensiero laterale, cambiando l’approccio al problem solving. Un deciso cambio di traiettoria ufficializzato nel 2018 dall’imprenditore Eric Berridge con un rivoluzionario Ted talk, auspicando l’assunzione di persone con un background artistico, capaci di portare creatività e intuizione nei luoghi di lavoro tecnici, in grado di analizzare i dati anche da un punto di vista etico.
Gli studi storici servono a risolvere i problemi
Ecco perché bisogna festeggiare il report annuale del Qs World University Rankings, che conferma, per il terzo anno consecutivo, il primato mondiale dell’Università La Sapienza di Roma in “Classics and Ancient History”, con il punteggio di 98.7, prima in Italia in ben due aree tematiche, “Arts & Humanities” e “Natural Sciences”. In base al report, l’Italia è la settima nazione al mondo per numero di posti in classifica e nel 2023 la performance complessiva è migliorata del 6,8 per cento, inoltre, tenendo conto di 15.700 università in 93 Paesi – l’Università degli Studi di Catania si posiziona al terzo posto tra quelli del Sud Italia, subito dopo l’Università Napoli “Federico II” e Politecnico di Bari, con un rinnovato appeal internazionale. Sembra un paradosso ma gli studi umanistici resistono e guardano al futuro: “Una questione attualissima – rilancia a FocuSicilia il professor Giorgio Piras, direttore del dipartimento di Scienze dell’Antichità alla Sapienza – gli studi storici consentono un approccio più consapevole alla risoluzione dei problemi, garantiscono una prospettiva storica più ampia, capace di introdurre creatività e intuizione nei luoghi di lavoro tecnici”.
Il ruolo della cultura anche in chiave economica
Detto in altri termini, il pensiero linguistico ha sicuramente a che fare con la logica e ci permette di tenere aperta la mente. “Gli studi umanistici – prosegue Piras – hanno anche un alto valore democratico, rendendoci cittadini consapevoli della diversità, delle sfaccettature dell’umanità, senza inginocchiarsi al mito della pura tecnologia”. Infinite volte ci hanno detto e ripetuto che con la cultura non si mangia e che gli studi umanistici sono elitari. Ma non è così. “Noi italiani – continua Piras, che insegna filologia classica nell’ateneo romano e si gode il primato mondiale – dobbiamo comprendere l’importanza della cultura, anche in chiave economica, prendendo finalmente consapevolezza del nostro patrimonio di conoscenze”.
“Tenerci stretta la nostra capacità di riflettere”
Lo scenario è in continua evoluzione e forse siamo già un minuto a mezzanotte. Presto faremo i conti con un’intelligenza artificiale senziente in grado di cambiare le regole del nostro gioco e del mercato del lavoro. Intanto – citando Yoshua Bengio, direttore del Montreal Institute for Learning Algorithms, intervistato su Il Venerdì di Repubblica – sappiamo che ChatGPT4 risponde su tutto ma “non cita le fonti, il che darebbe molta più fiducia nelle risposte. Mette insieme pezzi di informazione ma non ragiona. Non introduce elementi di dubbio quando non è sicuro”. A lungo andare, tenendo conto dei software che generano immagini largamente condivise sui social, corriamo il serio rischio di non riuscire più a distinguere il vero dal falso. Ecco perché Piras ribadisce che “dobbiamo tenerci stretta la nostra capacità di riflettere, senza delegarla alle macchine”. Sì, Cogito, ergo sum. Alla fine, si torna sempre alle cosiddette lingue morte. Non può essere un un caso.