Orazio Condorelli, ingegnere catanese, escursionista, buon frequentatore dell’Etna e delle montagne in generale, soleva, negli anni ’60, fare un viaggetto in auto con la famiglia della quale faceva parte il figlio Giambattista. Nell’autunno 1967 l’obbiettivo fu una località alpina, forse la Val Badia, ma poco importa, ed egli, conscio di non poter trovare nelle edicole il quotidiano “La Sicilia”, acquistava ogni mattina, in sua vece, il Corriere della Sera, da leggere nelle ore del relax. Un giorno, mentre sfogliava questo quotidiano, si imbatté nella pagina intitolata “Corriere della Scienza” (ancor oggi esistente con un titolo simile) che comprendeva un vistoso articolo dal titolo “I giganti del mondo vegetale”. Così come faremmo indistintamente tutti noi lettori etnei, si tuffò nella lettura, per accertarsi che vi fosse, tra i tanti alberi citati, anche il Castagno dei Cento Cavalli: “non poteva non esserci” e infatti c’era, ma era dato per scomparso!
Considerato morto dal “Corriere della scienza”
Lo affermava il prof. Lucio Susmel, Direttore dell’Istituto di Selvicoltura dell’Università di Padova, consueto collaboratore del Corriere della Scienza. Piegata e messa in valigia la pagina in questione, rimandò al suo ritorno a Catania l’invio di una lettera al professore, il cui testo già gli frullava nella mente. Cercato l’indirizzo del docente, operazione oggi facilissima grazie ad Internet ma allora abbastanza complessa, preparò una garbata missiva scrivendo, anche in questo caso, ciò che avrebbero scritto tutti i già citati lettori etnei: “Gentile Professore, ecc… ecc.., sappia che il castagno in questione è vivo e vegeto, facilmente avvicinabile in auto e quindi oggetto di frequenti visite di famiglie con bambini, studenti, turisti ecc., ecc.”. E ne allegò una piccola foto di cui già disponeva.
Tredici mesi di corrispondenza
Il professore rispose una prima volta, ma la sua lettera fu solo l’inizio di una corrispondenza protrattasi per tredici mesi, con quattro lettere inviate e quattro ricevute, perché il docente universitario aveva dei riferimenti bene precisi in alcuni suoi ideali maestri, ormai defunti, ma dei quali si fidava ciecamente e dalle cui affermazioni non si voleva discostare. In particolare si riferiva al botanico palermitano Filippo Parlatore, che nel 1845 si era recato a visitare il castagno e lo aveva descritto con attenzione, riferendo che esso era composto da cinque grossi polloni, che portavano ad una circonferenza a terra di 64,2 metri. Ma a dare il famoso castagno per scomparso, era stato un altro un botanico, Adriano Fiori, emiliano, attivo nella prima metà del Novecento. Si trattava di due esponenti della scienza botanica e forestale le cui affermazioni non si potevano contraddire in quattro e quattr’otto e quindi Susmel cominciò col chiedere l’attestazione di un’assoluta certezza ed una foto di maggiori dimensioni.
Una foto come prova
Orazio Condorelli, che non aveva personalmente l’hobby della fotografia, si recò nuovamente sul posto col figlio Giambattista che possedeva una macchina fotografica che Fantozzi avrebbe definito “tragica” per la sua semplicità e modestia tecnica: una Agfa Iso Rapid IF. Vennero così scattate alcune pessime foto del nostro castagno in versione invernale e mandate al professore. Susmel ringraziò, ma con una seconda lettera propose di rinviare la verifica alla stagione in cui il castagno si sarebbe rivestito di foglie che gli avrebbero dato un aspetto complessivo più evidente, rimarcando la gigantesca chioma.


Il dilemma dei polloni
Ricevute le foto, con una terza lettera chiese degli ingrandimenti fotografici, dei dati topografici della zona in cui sorgeva il castagno, ma soprattutto “il numero delle ceppaie da cui è formato il vecchio castagno e la circonferenza complessiva e quella della chioma alla base”. Richiesta facile da esaudire per un ingegnere, ma che inculcò nuovamente nel professore il tarlo del dubbio: Condorelli riferiva di tre polloni, il Parlatore di cinque; Condorelli comunicava una circonferenza di 51 metri, il Parlatore di 64; ma lo stesso Susmel ammise che “potrebbe ben essere accaduto che due dei cinque polloni siano nel frattempo scomparsi”.
La pazienza di Condorelli
Quanto alle foto, sempre scattate da Giambattista con la modesta Agfa, Susmel, con grande garbo, nella quarta ed ultima lettera scrisse che “andavano abbastanza bene” e finalmente si apprestò a chiudere la faccenda, ma insistette ancora; “qualche dubbio, dunque, mi rimane: il castagno da lei segnalato a Sant’Alfio è quello dei cento cavalli descritto da Parlatore o uno degli altri descritti dallo stesso autore? Io non conosco bene la zona e vorrei pregarLa di farmi conoscere il suo pensiero da esperto della topografia e toponomastica locale”. Non disponiamo dell’ultima lettera di Condorelli, ma ne immaginiamo il tenore e, soprattutto, la grande pazienza ancora una volta necessaria per rispondere con diplomazia.


Nonostante tutto, qualche dubbio ancora
E’ fu così che, finalmente, il 12 marzo 1969, nella pagina del Corriere dedicata alla scienza, uscì la notizia che il Castagno dei Cento Cavalli non era scomparso ma vivo. Ma il testo recava ancora numerosi condizionali: non si sa mai dovesse arrivare la smentita da parte di qualche altro luminare, facendo fare al professore una magra figura!
Gli Alberi sono la nostra vita
La nostra vita appartiene a loro…