In Sicilia, da qualche tempo, si coltivano due grani antichi strettamente imparentati con il Senatore Cappelli, una delle “cultivar” più note in Italia. Si tratta delle varietà Bidì, coltivato nella zona nord occidentale dell’Isola, e Margherito, seminato nel catanese. “Entrambe le varietà, come anche il Senatore Cappelli, derivano da una famiglia di grano duro nord africana, il Jean Retifah”, spiega a FocuSicilia Paolo Caruso, agronomo e consulente esterno del dipartimento di Agricoltura, alimentazione e ambiente dell’Università di Catania, nonché animatore della pagina specializzata Foodiverso. “Questi grani hanno caratteristiche morfologiche e qualitative pressoché uguali al Senatore Cappelli. Anche le spighe, alla vista, sono pressoché indistinguibili”, aggiunge Caruso. Un’unica differenza: per comprare il Senatore Cappelli “occorre sottostare al monopolio della Sis, Società italiana sementi, che ne detiene il brevetto”, mentre i cugini siciliani “si acquistano dagli agricoltori custodi”.
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I numeri del Senatore Cappelli
Selezionato agli inizi del Novecento, il Senatore Cappelli è stato per decenni la varietà di grano più seminata in Italia. Punti forti di questo grano, secondo gli esperti, l’adattabilità e la qualità della semola, molto utilizzata nella pastificazione industriale. Malgrado la sua fama, anche questa varietà ha conosciuto alti e bassi, soffrendo la concorrenza di altre cultivar. “Dopo essere arrivato a coprire più della metà della coltivazione di grano, rivoluzionando la produzione di pane e pasta, negli anni Sessanta ha iniziato a scomparire tanto che venti anni fa nel 1996 la produzione era scesa a meno di 10 mila chili”, scrive Coldiretti. Di recente è arrivata la riscoperta. Secondo gli ultimi dati, forniti da Sis e Consorzi Agrari d’Italia, “nel 2017-2018 il Senatore Cappelli ha aumentato del 400 per cento le superfici coltivate, passando da mille a cinquemila ettari”.
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La nascita dei cugini siciliani
Il percorso del Bidì e del Margherito è cominciato in parallelo a quello del più famoso cugino italiano. A selezionarli partendo dal Jean Retifah, spiega Caruso, furono rispettivamente il professor Tucci e il dottor Santagati. Quest’ultimo battezzò il Margherito dal nome della contrada in cui aveva sede la sua azienda, in territorio di Ramacca, nel catanese”. La selezione, sottolinea l’agronomo, “avvenne quasi contemporaneamente al periodo in cui il professor Strampelli, partendo dalla stessa popolazione africana, selezionò la varietà Senatore Cappelli”. Come accaduto per molti grani antichi siciliani, anche queste due cultivar sono state riscoperte di recente dagli agricoltori dell’Isola. “Agli inizi del Novecento le varietà conosciute erano circa 290. Oggi, anche grazie all’opera della Stazione di granicoltura per la Sicilia di Caltagirone, abbiamo recuperato 57 varietà, di cui 27 iscritte al Registro delle varietà da conservazione del Ministero dell’Agricoltura”, aggiunge Caruso.
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Consumatori poco consapevoli
Per quanto riguarda Bidì e Margherito, soltanto il primo è iscritto al registro, mentre il secondo è indicato come suo sinonimo. “Diversi agricoltori stanno riproducendo queste varietà, per fornire un prodotto che è sostanzialmente uguale a quello prodotto con la varietà Senatore Cappelli”, dice ancora Caruso. Una possibilità di sviluppo importante per i seminatori di grani antichi siciliani. Malgrado l’Isola eguagli da sola il numero di grani antichi presenti nelle altre 19 regioni italiane, infatti, il fatturato per quanto riguarda il frutto raccolto resta intorno ai dieci milioni di euro. Per Caruso esiste un problema di consapevolezza dei consumatori. “La gente non sa che queste varietà sono equivalenti al Senatore Cappelli. In Sicilia si potrebbero seminare molti ettari, dando una spinta a un settore che può vantare un enorme patrimonio di biodiversità, ma che troppo spesso è schiacciato dalle logiche di mercato e dalla insufficiente informazione”, conclude l’agronomo.
Dove posso comprare questo grano?
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