La città di Messina è sempre stata una città di transito, di passaggio, ma l’idea e la possibile realizzazione del Ponte sullo Stretto, la potrebbero trasformare (definitivamente) in un “grandissimo” raccordo autostradale, lasciandola isolata nella sua indole “indolente” per sempre. Messina e Reggio Calabria sono insieme un’area metropolitana vasta (divisa dal mare), che può contare più di 700 mila abitanti e che il ponte potrebbe unificare, rilanciandola.
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Una cattedrale nel deserto
Se guardiamo SOTTOSOPRA, al di là del valore simbolico dell’opera straordinaria, allo stato reale delle infrastrutture del sud Italia, e in particolar modo quelle della Sicilia il ponte anche se fosse realizzato rischierebbe di essere una cattedrale nel deserto, o un’astronave a Manhattan. Sia col treno che con l’automobile, lo stato delle vie di comunicazione siciliane e i tempi di percorrenza sono leggendari. Questa contraddizione in termini, o più propriamente in fatti, rende il senso e lo scopo di un collegamento stabile sullo stretto, che avvicini la Sicilia al continente, un’operazione che rischia di essere, come i detrattori sostengono, “inutile” per lo sviluppo dell’isola, con spreco di risorse e con un impatto ambientale che potrebbe causare danni (ad oggi) non calcolabili.
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Possibili infiltrazioni criminali
L’Italia è il paese delle opere pubbliche incompiute: ne troviamo ovunque, sull’intero territorio nazionale, molteplici anche in Sicilia, dove risultano da completare ancora oggi, fogne, impianti sportivi, opere di urbanizzazione, depuratori, opere di sviluppo rurale, case popolari e soprattutto vie di comunicazione, strade, iniziate e non finite. Senza sottovalutare il rischio di possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nella realizzazione del ponte, preoccupazioni di una parte della società siciliana, di associazioni ambientaliste e non solo. L’altro rischio che le popolazioni locali sentono è quello di venire assediati da lavori “infiniti” (con cantieri iniziati, poi bloccati e ripresi chissà quando), con il timore per le conseguenze e i danni possibili sul territorio, già fragile, dello Stretto.
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Dal grande terremoto alle baraccopoli
Messina è una città, come tante del sud, che ha diversi problemi; problemi che partono da lontano, come la ferita aperta del terremoto del 1908, con una ricostruzione lenta, disordinata e forse mai pienamente compiuta. E con lo scandalo delle sue baracche, ancora vivo segno indelebile sul volto della città, ricordo difficile da dimenticare per una comunità dolente come quella messinese. Quelle baraccopoli si sono accatastate per decenni, dilagando nei luoghi “bui” della città, con fogne a cielo aperto, tra fango e sole.
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Un’Italia indifferente
Di tutto questo, per anni, l’Italia non ha mai voluto sapere niente; dei loro tetti d’amianto, di porte di lamiera, di pareti con legno fracido, di famiglie e bambini lasciati al freddo tra topi e insetti, in una miseria profonda, in uno stato d’abbandono totale. Prendere atto di una miseria così profonda, in un Paese come l’Italia che si raccontava come nazione sviluppata con una economia tra le più avanzata al mondo, avrebbe reso tutti palesemente più colpevoli. È stato, allora, più facile “cancellare” dal dibattito pubblico l’esistenza delle baracche di Messina, a volte anche quasi negandole, relegando la responsabilità al fato e a un terremoto ormai lontano nel tempo.
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Decisioni prese troppo lontano
Il dibattito sul ponte, che tanto infiamma la politica, che periodicamente lo rilancia come opera “fondamentale” e strategica per lo sviluppo, è visto da siciliani e soprattutto dai messinesi con grande scetticismo e a volte anche con grande incredulità; perché ormai il dibattito si è trasformato in uno strumento di propaganda e scontro politico, al di là delle questioni tecniche e di merito. Con la città di Messina costretta, da un destino cinico e baro (dopo il suo catastrofico terremoto), a vedersi scriversi addosso un futuro deciso da altri. Un tema, questo del ponte, enorme e complesso, che per i messinesi, per i siciliani tutti, sembra totalmente discusso e deciso senza di loro; un dibattito che si sviluppa in altri luoghi, dove si consumano interessi sopra la vita di intere comunità.