Non lontano dalla città di Vizzini, in provincia di Catania, esiste un borgo addormentato che pochi conoscono, si chiama Cunziria. Se non fosse per gruppi di ragazzi appassionati di borghi abbandonati e altrettanto gruppi sparuti di ghost hunters siciliani, non ne avremmo mai sentito parlare. Eppure, un paio di secoli fa, c’era vita nella Cunziria, ci viveva una piccola comunità, che della concia del pellame aveva fatto forma di sostentamento; i bambini probabilmente giocavano per i vicoli con i loro “carrioli a pallini” e i loro giochi poveri echeggiavano tra le case. Eppure, ad un certo punto, complice l’industrializzazione e lo scarso guadagno che la pratica della concia, man mano abbandonata, la borgata a poco a poco sì spopolò e adesso, lentamente, le sue casupole, costruite con la pietra locale, si sgretolano da oltre un secolo. Giovanni Verga ambienta l’amore segreto tra Lola e Turiddu e il susseguente duello con compare Alfio proprio alla Cunziria, lo stesso Zeffirelli utilizza la location per la sua Cavalleria Rusticana e Gabriele Lavia ci ambienta la sua “Lupa”.
Vani i tentativi di dare nuova vita la borgo
A nulla è valsa la collaborazione degli americani e persino l’aiuto dei Marines per ripulire e cercare di dare nuova vita al borgo, le sue strade, le sue case e l’unica chiesetta, di epoca romana, continuano a dormire e a sgretolarsi. La natura si riappropria di ciò che le appartiene quando l’uomo abbandona e non cura più i luoghi e non è affatto facile addentrarsi per il borgo a causa di erbacce e detriti. Eppure sarebbe molto istruttivo poter rendere fruibili i luoghi, anche per un percorso didattico che potrebbe dar luce e riscoprire quelle tradizioni che appartenevano ad una generazione passata, poter intravedere dalle case del piccolo agglomerato urbano, le vasche dove si conciava la pelle e con un po’ di immaginazione, magari sentirne l’odore acre per le strade.
Il sipario sembra essere calato tra l’indifferenza
Si potrebbe vedere l’alveo del torrente Masera che consentiva e veniva sfruttato non solo per la concia, ma anche per la molitura dei cereali, della canna da zucchero, dei panni di lana, in particolari opifici chiamati gualchiere o paratori che si servivano dell’acqua del torrente, ormai tutto in abbandono. Sarebbe edificante poter spiegare alle scolaresche ed ai turisti che grazie alla presenza del sommacco siciliano, una pianta da cui si ricavava il tannino, si poteva trasformare il pellame. La pulitura e il trattamento delle pelli avveniva all’interno delle vasche murarie scavate nella roccia, oggi nuovamente visibili grazie a recenti scavi. Basterebbe un po’ più di attenzione alla memoria della nostra terra per preservarla e riportarla in vita. Ma il sipario sembra sia calato tra quelle colline, nell’indifferenza generale, ogni tanto cade un pezzo di muro o si sgretola qualcosa e il silenzio avvolge, forse per sempre, le campagne attorno alla Cunziria.