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Sicilia, ipotesi da sogno: crescita al 6% e 400 mila nuovi occupati entro il 2026

Presentata oggi un'analisi tecnica elaborata da Svimez e dipartimento di Scienze politiche e sociali dell'Università di Catania. Dai 18 miliardi di euro per le infrastrutture al settore manifatturiero che ha retto alla crisi, all'Isola che può diventare strategica nel Mediterraneo

Gli investimenti infrastrutturali in Sicilia potrebbero avere un impatto formidabile, persino sei punti percentuali di valore aggiunto e 400 mila nuovi posti di lavoro, ma più prudentemente si potrebbe pensare a quattro punti di crescita se le opere venissero effettivamente completate nei tempi previsti dal Pnrr, cioè entro il 2026. Nel complesso, però, la crescita non dipende solo da questi elementi: serve anche riconnettere il Sud Italia all’Europa, con una logistica competitiva rispetto a porti come Rotterdam o Amburgo (e la Sicilia può farlo con Augusta e Pozzallo, per esempio), facendo diventare l’Isola approdo naturale del Mediterraneo per l’enorme traffico che passa da Suez. Sono solo alcune delle considerazioni di un’analisi tecnica scrupolosa e puntuale condotta in due anni di lavoro da Svimez e dal dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania, dove è stata presentata oggi. Lo studio, dal titolo “Politiche attive e sistema delle Imprese. La Sicilia Polo di attrazione del Mediterraneo”, abbraccia tutti gli snodi possibili per avviare un processo di sviluppo che sia solido e costante nel tempo ed è firmato da Adriano Giannola, presidente Svimez e da Armando Castronuovo, direttore dell’Osservatorio Svimez sulle Pmi del dipartimento universitario. All’incontro hanno preso parte la direttrice del Dipartimento, Pinella di Gregorio, il direttore commerciale Imprese di Intesa San Paolo, Alessandro Lenoci, il ragioniere generale della Regione Siciliana, Ignazio Tozzo.

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La crescita del valore aggiunto (in blu) e degli occupati (in azzurro) in base alla percentuale di completamento degli investimenti. Fonte: Giannola e Castronuovo, “Politiche attive e Sistema delle Imprese.La Sicilia Polo di attrazione del Mediterraneo”, Il Mulino, 2022

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Il manufatturiero siciliano ha retto, il Nord soffre

La prima osservazione è che in Sicilia il manufatturiero ha retto alla crisi e gli imprenditori non sono indebitati più di quanto non siano gli altri d’Italia. Gli autori hanno preso in esame l’universo delle imprese da dieci a 500 occupati, circa 1.400. “Le imprese monitorate nei dieci anni dal 2010 al 2019 – ha spiegato Castronuovo – hanno dimostrato una dinamica di crescita e una capacità di adattamento alle condizioni economiche del sistema che ci ha stupito. Il valore della produzione è cresciuto in termini reali del 3,3 per cento e uno 0,2 per cento superiore all’andamento nazionale. Il livello di efficienza delle aziende è molto simile a quello nazionale e negli ultimi anni è anche cresciuto. Altro dato: gli investimenti in alcuni settori sono stati superiori a quelli medi nazionali. La condizione di salute quindi non è proprio precaria”. Dall’altro lato dell’Italia, il Nord, pur riconosciuto diffusamente come territorio economicamente avvantaggiato d’Italia, “ha subito il declino e perso quasi il 30 per cento della sua condizione di ricchezza pro capite rispetto alle regioni europee”, ha ricordato Giannola. Questo mentre però la Sicilia aveva subìto dal 2008 al 2019 un vero processo di “desertificazione”, con calo netto del valore aggiunto (-40 per cento) e di occupati (-30 per cento).

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Fonte: Giannola e Castronuovo, “Politiche attive e Sistema delle Imprese.La Sicilia Polo di attrazione del Mediterraneo”, Il Mulino, 2022

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Investimenti per oltre 18 miliardi di euro in Sicilia

Il momento storico “è particolare, ha proseguito Castronuovo – e ci sono finanziamenti per la Sicilia che, sommando il Pnrr, superano i 18 miliardi di euro, destinati soprattutto (13 miliardi di euro) alle infrastrutture ferroviarie”. Sono risorse che impattano sul sistema produttivo regionale in un Sud che è stato profondamente svantaggiato dagli investimenti proprio sul sistema della mobilità. Ora si dovrebbe creare una condizione di crescita per la regione”. Prospettiva che “passa” necessariamente da una “prospettiva euromediterranea – come ha ricordato il presidente Giannola – che l’Italia ha però abbandonato da 40 anni e che oggi l’Europa ci chiede di recuperare. L’Italia non è pronta, ma la Sicilia è strategica come lo è il Mezzogiorno, che però da 30 anni è in desertificazione. La nuova emigrazione è totalmente diversa da quella degli anni del miracolo economico, e corrisponde a un declino del Nord molto forte. Su questo Svimez aveva lanciato l’allarme nel 2011”. Oggi all’Europa non interessano più le regioni del Nord, per quanto ottime, ma il Sud perché “è un bene posizionale nel Mediterraneo – ha proseguito Giannola – per le prospettive dell’Unione europea, se vuole reggere e controllare i mercati del futuro, come sta facendo la Cina in Africa. Non si comincia più, quindi, da Trieste o da Genova, ma dai porti di Augusta e Pozzallo. Questo dovrebbe essere oggetto di un dibattito nazionale”.

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Gli investimenti infrastrutturali previsti in Sicilia. Fonte: Giannola e Castronuovo, “Politiche attive e Sistema delle Imprese.
La Sicilia Polo di attrazione del Mediterraneo”, Il Mulino, 2022

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Senza la Sicilia, l’Italia sarà il vaso di coccio dell’Europa

“Il Pnrr è un elenco di grandi investimenti senza un’anima, senza un obiettivo. Fare solo un investimento non serve a niente. Il dibattito sul Ponte è surreale, il porto di Augusta non c’è. L’Europa è ancora ancorata a Rotterdam: le navi dopo Suez salutano l’Italia e fanno sette giorni di navigazione in più per scaricare a Rotterdam le merci che poi tornano a Milano”, ha ricordato Giannola, sottolineando come questo abbia un impatto enorme sulle emissioni, altro che decarbonizzazione. “Dovremmo darci una svegliata molto energica e molto vociante. Le condizioni ci sono: gli argomenti emergono dal nostro studio. Il campione di imprese è un piccolo nucleo che esiste e può crescere. Se non arrestiamo ora il meccanismo spontaneo di desertificazione, si pone un problema non al Mezzogiorno, ma al Paese, di sostenibilità: l’Italia, che è nel punto più strategico, rischia di essere il vaso di coccio dell’Europa. C’è pochissimo tempo per invertire la rotta”, ha esortato il presidente Svimez che ha anche evidenziato il ruolo delle Zone economiche speciali (Zes) e delle piattaforme logistiche da creare. Castronuovo ha poi richiamato il ruolo della ricerca, essenziale per l’innovazione e quindi per gli aumenti della produttività. “Quasi un milione di giovani – ha detto – dall’inizio del millennio si sono spostati dal Sud verso altre aree, una perdita di capitale umano veramente drammatica”.

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Agostino Laudani
Agostino Laudani
Giornalista professionista, nato a Milano ma siciliano da sempre, ho una laurea in Scienze della comunicazione e sono specializzato in infografica. Sono stato redattore in un quotidiano economico regionale e ho curato la comunicazione di aziende, enti pubblici e gruppi parlamentari. Scegliere con accuratezza, prima di scrivere, dovrebbe essere la sfida di ogni buon giornalista.

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